Sono arrivati i brutti ma buoni
Il Sole 24 Ore, 28 agosto 1994
Più efficaci quando esibiti piuttosto che quando descritti, i mostri hanno trovato nei fumetti una residenza narrativa accogliente e interessata, più popolare della letteratura scritta, meno costosa – quanto a trucchi ed effetti speciali – del cinema. Presenti fin quasi dagli inizi, nel fumetto fantastico dei primi del secolo; cresciuti con il fumetto d’avventura degli anni Trenta; maturati con i supereroi dei Quaranta, e infine dilaganti con il fumetto horror e fantascientifico dei Cinquanta. Poi, da allora, sempre frequenti – in qualche periodo anche ossessivamente – un po’ in tutta la narrativa per immagini.
Non meno che nella tradizione iconografica e letteraria, i mostri dei fumetti figurativizzano le paure del secolo, investendo una figura aliena, di solito mostruosa anche nell’apparenza, delle qualità più inquietanti e spaventose. Il diverso e il pericoloso coincidono nel mostro, anche quando, a ben guardare, le qualità negative tanto temute sono – nella vita reale – del tutto nostrane, quotidianamente vissute e di conseguenza niente affatto aliene.
Così, i mostri di una cultura in rapida espansione tecnologica sono creature venute dallo spazio, o errori della natura che si scagliano contro l’uomo, mentre i mostri di una cultura che taglia costantemente i ponti con il proprio passato sono materializzazioni moderne di timori antichi: lupi mannari, vampiri e demoni. Tanti sono i mostri quante sono le facce di una stessa cultura.
Dove il rapporto con la tecnologia si fa più complesso, e il progresso scientifico non appare più come un mito radioso, compaiono i mostri della ragione sfuggita al controllo. Non è più il sonno, ma l’insonnia della ragione a produrre mostri. Dagli anni Sessanta e Settanta non c’è più bisogno, nei fumetti, dell’esplicito scienziato pazzo per avere i mostri della post-scienza. Essi nascono da soli, o quasi, prodotti in laboratori ufficiali e sfuggiti ai controlli, oppure generati dagli effetti devastanti di una fuga radioattiva o di un’esplosione atomica. Più i fumetti diventano maturi e per un pubblico adulto, e più i mostri sono un prodotto dell’uomo piuttosto che della natura.
L’ulteriore passo in avanti nell’evoluzione dei mostri dei fumetti riguarda la loro collocazione etica. Non è necessario che i mostri siano malvagi (per volontà o per destino): ciò che è alieno non è necessariamente pericoloso. Il mostro buono, incompreso per il suo aspetto terribile, è un tema ricorrente ancor prima del Frankenstein di Mary Shelley. Swamp Thing, creato nei primi anni Settanta nel contesto del fumetto americano, tra horror e supereroi, è un uomo trasformato per disgrazia in una creatura vegetale, dall’aspetto mostruoso. Le sue storie procedono senza troppa gloria per una decina d’anni, tra persecuzioni e incomprensioni, sin quando il suo sceneggiatore diventa Alan Moore, un autore di calibro ben diverso da quello dei suoi predecessori. Il mostro si trasforma piano piano in una specie di divinità naturale, testimone, più che protagonista, di eventi davvero mostruosi che hanno sempre gli uomini come attori del gioco. E nei quattro anni in cui Moore ha scritto le storie di Swamp Thing, uno dopo l’altro tutti i lati oscuri e mostruosi non del mostro, ma del mito americano, sono stati trasformati in fascinosi e inquietanti racconti.
Assai diverso, ma non meno interessante per il modo di trattare la tematica del mostro è il nostrano Dylan Dog. Tanto più interessante perché, mentre il pubblico di Moore è evidentemente un pubblico colto e socialmente sensibile, Dylan Dog è un fumetto popolare, rivolto prima di tutto agli adolescenti. Tiziano Sclavi, inventore e principale sceneggiatore, sembra pensare ai mostri come a delle presenze normali e inevitabili, da compatire e da aiutare per la loro mostruosità, più che da temere. Nelle sue storie, i veri mostri morali sono quasi sempre altri, magari belli e ricchi. Anche quando il mostro è davvero pericoloso e terribile, si porta dietro una storia di persecuzioni che l’hanno reso quello che è. La vera mostruosità è l’incomprensione; i veri mostri siamo noi. Probabilmente è anche in parte a questo ribaltamento di campo, del tutto inusuale in una serie che resta in ogni caso all’interno del genere horror, che è dovuto il grande successo di questo fumetto.
Le storie di Swamp Thing sceneggiate da Alan Moore sono da qualche mese tradotte e pubblicate, ed escono sul mensile omonimo della Comic Art. Dylan Dog è pubblicato mensilmente dalle edizioni Bonelli. Ai mostri dei fumetti Bonelli è stata anche dedicata recentemente una bella mostra, presso il Mystfest di Cattolica, curata dal Centro Fumetto “Andrea Pazienza” di Cremona.
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