Sento alla radio che si parla di Dino Buzzati. Sono settant’anni quest’anno che è stato pubblicato Il deserto dei tartari. Buzzati è stato una delle grandi passioni della mia maturazione culturale, passione che ho poi ripreso in più occasioni in tempi recenti, scrivendo alcuni saggi sulle sue opere, e dedicando anche un capitolo di un mio libro all’analisi di un suo racconto.
Credo che il mio amore per Buzzati sia parente della mia passione per l’universo del fumetto. Non che si debba cercare una relazione di causa-effetto tra le due cose, ma probabilmente esiste per loro una ragione comune – sostenuta anche dal fatto concomitante che pure Buzzati è stato un grande lettore di fumetti, e un difensore del loro valore, in un’epoca in cui era davvero assai più difficile di oggi sostenerne la qualità.
Dino Buzzati, Piazza del Duomo di Milano, 1958
Ho amato Buzzati, credo, per la sua capacità di vedere il fantastico nel quotidiano, e di raccontare il quotidiano attraverso il fantastico. Buzzati si dilettava di pittura, e anche se non era proprio un virtuoso del pennello, le sue invenzioni visive lasciavano spesso il segno, come quell’immagine di Piazza del Duomo, a Milano, rappresentata come se fosse un pascolo dolomitico, circondata da rocce discoscese, la principale delle quali è il medesimo Duomo – un’immagine che potrebbe essere presa a emblema del suo modo stesso di raccontare: il fantastico, l’inquietante, l’altrove, nascosti in quello che ci sta davanti tutti i giorni.
Questo medesimo amore per il fantastico ha spinto me, in quegli anni, a leggere tanta fantascienza, e a preferire quella in cui l’elemento immaginativo non rescindeva il legame con la quotidianità della vita. Ho sempre trovato che l’universo del fumetto contiene, ovviamente in diversa misura a seconda dei casi, questa medesima relazione – e non a caso ho finito per amare un autore come Lorenzo Mattotti, molto tempo prima di sapere dalla sua stessa voce che pure lui era una vittima della stessa fascinazione giovanile per Buzzati di cui ero stato preda io. Ma chissà quanto Buzzati è presente nel lavoro di David B.? Non sarebbe sorprendente scoprire che anche lì c’è stato un influsso, visto che Buzzati è diventato famoso in Francia prima che in Italia (una storia ricorrente, e particolarmente ricorrente nel mondo del fumetto, come lo stesso Mattotti ben sa).
Non mi ha stupito invece scoprire (non molti anni fa) che Buzzati era anche un ascoltatore appassionato di musica, e che ha anche scritto dei libretti musicali. Ma questo ci porta a domandarci se ci sia un legame anche tra questa passione musicale e quella per il fantastico e per il fumetto. Certo, non è detto che ci sia, perché non è corretto ricondurre la personalità di un essere umano a un solo principio: siamo interessanti anche perché siamo fatti di tanti pezzi diversi, a volte collegati ma a volte anche contraddittori! La passione per la musica può ben appartenere a un ambito differente della personalità da quella per il fumetto e da quella per il fantastico.
Tuttavia Buzzati ci ha fornito un motivo molto forte per vedere il collegamento tra loro, e questo motivo è il Poema a fumetti. Il protagonista di questo romanzo è Orfi, un cantautore, che scende agli inferi per farsi restituire la sua Eura, e oltrepassa tutti gli ostacoli (tranne l’ultimo) grazie alla commozione prodotta dalla sua musica. Il mito di riferimento è quello, evidentemente, di Orfeo ed Euridice, che è già un mito sulla musica e sul suo potere. Ma Buzzati aggiunge a questo il fatto di costruire il suo Poema a fumetti proprio come si costruisce un melodramma, e la musica non ne è solo l’argomento del discorso, ma anche, metaforicamente, ciò che accompagna e modula continuamente il racconto. Non potendo fare uso di note e di suoni in un’opera a stampa, Buzzati adopera la forma del fumetto per ricoprire questo ruolo di musica metaforica: così, la capacità fantasmatica ed emotivamente coinvolgente del raccontare a fumetti diventa metafora del potere descrittivo e trascinante della musica.
Dino Buzzati, due pagine da Poema a fumetti
Poi, certo, Buzzati non era un disegnatore straordinario, e non era nemmeno un fumettista. Lo si capisce per la sua palese ignoranza di una serie di espedienti narrativo-visivi, che già negli anni Sessanta erano ampiamente usati. I lettori di fumetti dell’epoca non amarono Poema a fumetti, e credo che la ragione fosse proprio questo senso di estraneità alla norma che comunque, in quanto fumetto, questo romanzo (una prima graphic novel, qualche anno prima di Will Eisner) produce nel suo lettore. Ma non si può giudicare il lavoro di Buzzati con questi parametri.
Bisogna piuttosto capire che Buzzati ha cercato di ricostruire, con i propri mezzi e per le proprie necessità espressive, la narrazione a fumetti come un supporto narrativo potente, e legato all’idea di ritmo drammatico, con riferimento alla funzione della musica nel melodramma. Poema a fumetti è una proposta per un altro modo di fare fumetti – un modo che per gli anni Sessanta era troppo differente, ma che ha poi dato i suoi frutti dagli anni Ottanta in poi, quando autori con capacità grafiche e competenze fumettistiche decisamente superiori alle sue hanno scelto quella stessa strada.
Il legame suggerito da Buzzati tra fumetto, musica, racconto fantastico, e anche poesia (Orfi è un cantautore, che scrive testi poetici per la musica) è, guarda caso, anche al centro dei discorsi di questo blog. Anche questo è, dunque, uno dei frutti dei semi sparsi allora.
P.S. Se siete interessati a un discorso più approfondito sul legame tra musica (poesia) e fumetto nel Poema a fumetti, potete leggere qui l’intervento che tenni qualche anno fa a un convegno sul lavoro di Dino Buzzati.
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