Qualche settimana fa, in una libreria di reminders, mi sono trovato davanti a un libro di poesie di cui ignoravo l’esistenza. Ovviamente ignoro l’esistenza di tantissimi libri, ma quello aveva in copertina il nome di Juan Ramón Jiménez, e credevo che i suoi libri mi fossero tutti familiari almeno nel titolo. Invece non solo Libros de amor non mi suonava, ma mi sembrava persino strano come tema per un poeta astratto e intellettuale come Jiménez (anche se, in effetti, sempre sensuale in questa sua astrazione). Ho pensato che fosse una specie di centone; una raccolta di suoi versi di tema sentimentale. Poi invece ho letto le prime righe dell’introduzione, e l’ho comperato subito.
Libros de amor è stato pubblicato in italiano da Fausto Lupetti Editore nel 2009 (traduttore Piero Menarini), mentre la prima edizione spagnola è del 2007. Jiménez è morto nel 1958 (era nato nel 1881). Libros de amor è un libro vero, non un centone, che stava persino per essere pubblicato nel settembre 1913, ed era quasi in bozze quando Jiménez ne fermò la pubblicazione, a luglio.
Perché un poeta, arrivato a questo punto, può cambiare idea e decidere di annullare un suo libro? Difficile pensare che di colpo non gli piacesse più. E in effetti non era per questo.
Il fatto è che nel frattempo aveva conosciuto Zenobia Camprubí, e se ne era innamorato. Le aveva dato da leggere un suo libro precedente (Labirinto), che conteneva accenni erotici molto più blandi di quelli che si apprestava a pubblicare in Libros de amor. Zenobia non aveva apprezzato per niente, e Juan Ramón aveva cercato di difendersi spiegando che, in realtà, in tutti i suoi versi carnali c’era, a guardar bene, una certa “tristezza della carne”, e che, insomma, tutto era da interpretarsi come conflitto, oppure metaforicamente.
Magari era vero, e magari questo si ritrova anche in Libros de amor, ma non c’è dubbio che la sensualità e l’eros, per malinconici che siano, erano comunque trionfanti nel lavoro che stava andando in stampa. Se Zenobia l’avesso letto, lui l’avrebbe certamente persa. Quindi, quel libro non doveva esistere; non doveva nemmeno essere esistito.
Lo leggiamo oggi, un secolo dopo. Non è un Jiménez così diverso da quello che conosce chi apprezza le sue raccolte successive. Solo che quella sensualità che nei suoi versi è sempre presente qui diventa eros esplicito, desiderio, persino atto sessuale. Certo, c’è la tristezza della carne, e c’è anche, fortissima, la sensazione che si alluda sempre a una dimensione più spirituale e astratta. Ma lo si fa, compiutamente, attraverso i sensi e la carne – con tanti echi da Baudelaire e Darío.
Credo che Juan Ramón Jiménez sia stato uno dei poeti che più ho amato nella mia vita, e l’ho amato anche per questa sua astrazione permeata di sensualità. Ma al trovare qui, invece, questa piena sensualità permeata di astrazione, mi viene da tirare un sospiro di sollievo a ogni componimento: che, per fortuna, almeno il manoscritto è sfuggito alle grinfie di Zenobia; che, per fortuna, qualcuno l’ha raccolto e pubblicato; che, per fortuna, io l’ho trovato lì, dopo averlo ignorato quando è uscito.
Cosa devo pensare di Zenobia? Magari dobbiamo a lei tutto il resto che Jiménez ha scritto. E allora va bene, benissimo. Ma in questo, almeno solo in questo, il suo moralismo ha avuto la colpa che ha ogni moralismo, quella di condannare perché non si è in grado di capire; quella di credere che ciò che si crede è la verità e il resto è bassezza. Indubbiamente Zenobia doveva essere una donna affascinante, di grande intelligenza, ma almeno in questo episodio io ci vedo la stessa stupidità che vedo in ogni fondamentalismo, in ogni ideologia seguita acriticamente.
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