Di una foto di fiori rossi su terra grigia

Fiori rossi su terra grigia

Fiori rossi su terra grigia

D’accordo: non è città. È solo fuori stagione, eppure sempre, lei, in stagione. Sarà anche per questo che sono così affezionato a questa foto.

Scattata qui.

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Della foto di uno spazio complicato, e di me stesso

Uno spazio complicato

Uno spazio complicato

Sì, certo: nelle foto mi piacciono gli spazi complicati. Ma qui, in particolare, ci sono anch’io, che sto scattando la foto.

E questo rende lo spazio ancora più complicato.

Scattata qui.

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Di una foto con gli ombrelloni gialli

La terrazza con gli ombrelloni gialli

La terrazza con gli ombrelloni gialli

Non so dove siete voi, ma io non sono qui. Peccato! Non sarebbe male come posto dove celebrare il cambio di anno.

Di questa foto mi piace, a sinistra, il contrasto tra il giallo e l’azzurro, convergenti col cielo chiaro in mezzo; e poi, nel complesso il contrasto tra le tinte chiare a sinistra e quelle scure a destra. E poi ci sono una serie di echi: per esempio tra le forme chiare e brillanti degli ombrelloni e quelle scure e verdi delle sedie, riprese ancora dalle lampade bianche; o l’intreccio delle linee rette orizzontali e verticali, contraddetto dalla diagonale zigzagante che comincia proprio vicino, in basso a sinistra, e si perde in fondo; e il giallo degli ombrelloni si riflette sul reticolo delle tovaglie di plastica.

Però più di tutto vorrei essere lì, a ordinare una birra e guardare il mare, e il muro bianco in fondo, occupando una frazione di quello spazio vuoto nell’ombra. Ancora altro giallo nel mio bicchiere. E fuori una luce davvero abbagliante.

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Di una foto appena inquietante

La casa azzurra

La casa azzurra

Io trovo questa foto inquietante. Penserete che l’aggettivo è eccessivo, perché non si vede nulla qui che possa spaventare o mettere ansia o preoccupare in qualche modo. Anch’io non capisco bene che cosa produca in me questo vago senso di disagio. Procedo perciò per osservazioni e per ipotesi.

Potrei dire che, intanto, c’è questo senso di “fuori luogo” per l’oggetto in primo piano, che non è un oggetto da strada. Il senso di “fuori luogo” persiste anche se so che quest’oggetto si trova in strada in occasione di una processione religiosa, ed è portato a spalla da alcune persone (di cui si intravede appena la sommità della testa, a sinistra).

Ma appare “fuori luogo” anche la casa azzurra che sta dietro al baldacchino, troppo perfettamente azzurra per essere un vero esterno urbano e antico (come lasciano pensare le finestre). Inoltre, l’elegante scritta “Orange” in basso a sinistra dà all’insieme una superficie da pagina di rivista, da pubblicità patinata. Eppure questa casa esiste davvero, ed è proprio così, in un posto specifico, e non ho nemmeno ritoccato il colore, neanche di un poco.

Sono colpito – non posso negarlo – dagli intarsi dell’argento e dall’andamento eccessivo delle volute che sostengono i ceri, e anche, particolarmente, dal modo in cui questa preziosità di argento in primo piano trova seguito nella preziosità della lavorazione del legno delle finestre seminascoste dal baldacchino stesso.

E poi c’è il cielo, bianco come la parete della casa a destra. Non posso fare a meno di pensare che il colore che manca, in quel cielo, è esattamente quello che, in versione artificiosa e da negozio elegante, abbonda nella parete della casa azzurra.

Insomma, incominciano a delinearsi una serie di contrasti: sacro e profano, antico (permanente) e attuale (effimero), colorato e acromatico… Solo che i poli di queste opposizioni non si trovano dove dovrebbero stare: l’azzurro non è nel cielo, il bianco non è nel muro, l’effimero sta nel luogo del permanente, il sacro sta davanti all’effimero. E l’effimero è elegante: questa casa non è niente male, compreso il raffinato lettering della scritta, e il contrasto cromatico con le bande verticali ocra. Mentre il sacro appare eccessivo, quasi ridicolo.

I colori sono tutti puri, a campiture piene, quasi senza sfumature; mentre le sfumature, quando ci sono, riguardano solo le zone in cui il colore non c’è, come l’argento del baldacchino. La sensazione complessiva è quella di un mondo senza colore, su cui si stagliano pochi oggetti uniformemente e artificiosamente colorati.

Tra questi, quelli che emergono di più sono i fiori rossi, col loro peduncolo giallo, un tipo di fiore di cui non ho mai potuto fare a meno di osservare il forte richiamo sessuale, ma che qui, oltre al sesso, mi trasmette l’effetto di una diffusa macchia di sangue. Poiché sopra al baldacchino c’è una croce, strumento di tortura e di morte prima che simbolo religioso, la presenza del sangue non è affatto impertinente.

Ecco quindi il quadro complessivo: un mondo smorto in bianco e nero su cui si staglia il contrasto vivacissimo a colori tra un profano effimero ed elegante e un sacro barocco e pieno di sangue, che innalza le sue luci bianche e a loro volta senza colore verso un alto ugualmente senza colore.

Allora è forse questa l’inquietudine che questa fotografia mi suscita: il timore di ritrovarmi in un mondo senza colore e interesse, dove il colore e l’interesse stanno solo in due cose: in un’eleganza effimera e in una religione contorta e sanguinaria.

È solo una foto. Meglio guardare altro.

A meno che l’ansia non provenga, banalmente, dal richiamo alle spire dei tentacoli di Octopus che questi bracci contorti di candelabri suscitano nella mente ugualmente contorta di un lettore eccessivo di fumetti. Vedi te gli effetti che mi produce il Natale imminente.

Auguri!

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Di una foto con l’orizzonte in discesa

L'orizzonte diagonale

L'orizzonte diagonale

Mi sono divertito un sacco a fare questa foto (e non solo perché ero in un bel posto). Lo studio consisteva nel trovare una linea da rendere orizzontale al posto dell’orizzonte, in modo da aiutare, con l’incrocio delle linee, la confusione sulla prospettiva.

E d’altra parte, chi l’ha detto che l’orizzonte, in una foto, debba essere orizzontale?

Ma il bello, qui, è che le colonnine della balaustra sul mare sono ugualmente verticali. Questo è un po’ inquietante.

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Di due foto con diagonali bianche

Diagonali bianche

Diagonali bianche

Me le sono trovate davanti affiancate per caso, e non ho potuto fare a meno di osservare una parentela, una rima, che vi ripropongo qui. La rima mi colpisce perché le due foto non potrebbero essere più diverse: una è stata presa in Algarve d’estate e l’altra sull’Appennino in inverno; in una le diagonali esprimono un pieno (le linee su un muro) nell’altra un vuoto (la fuga dei binari); in una convergono verso sinistra, nell’altra verso destra; in una il bianco è messo a contrasto con altri colori, nell’altra praticamente no.

A dispetto di tutte queste diversità, la rima però si impone alla mia attenzione, e mi costringe a vedere delle altre somiglianze, che altrimenti riterrei irrilevanti: la presenza di un oggetto piatto che sporge dal muro (la base del lampione a sinistra, il cartello “Binario” a destra), la presenza di successioni ritmate in alto (le balaustre dei balconi a sinistra, gli elementi della linea elettrica a destra), il rapporto tra le diagonali e le linee verticali, insieme alla scarsità di orizzontali (salvo che nella casa a sinistra, in entrambe le foto).

Tutte le scoperte del mondo iniziano così, osservando regolarità impreviste. Poi, dopo, si tratta di capire se il tutto è opera del caso, o se c’è una ragione interessante dietro alla regolarità. A volte la ragione interessante non la troviamo, ma continuiamo ad avere l’impressione che ci sia lo stesso, e l’accostamento ci affascina, e pensiamo che ci si debba riflettere sopra di più. Nel campo della comunicazione estetica l’esistenza di questa sensazione è decisiva: le opere che ci piacciono sono proprio quelle che la producono in noi, risvegliando la nostra attenzione con il loro essere interessanti, e non permettendoci di risolverle in una soluzione conclusa. Il mio esempio è piccolo, e magari funziona, un poco, solamente per me.

Io però continuo a guardare e riguardare questo avvicinamento di due mondi, uno caldo e solare e l’altro freddo. Le diagonali bianche in rima me li rendono come due facce della stessa moneta. Non so però, ancora, che moneta sia.

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Della foto di una terrazza dal basso

La terrazza

La terrazza

Il bello delle città è che le epoche si stratificano.

Il bello delle diagonali è che danno l’idea del divenire.

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Di una foto dove tutti vanno in salita

In salita

In salita

Questa foto, presa qui, lo stesso giorno della processione di cui la scorsa settimana, ne mostra – diciamo così – le retrovie, il percorso di chi, come me, ha preso la scorciatoia per riguardagnare la testa del corteo. Il che spiega perché tutti salgano. Ma io trovo che ci sia lo stesso qualcosa di surreale in questa figura. Che cosa?

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Della foto di una processione religiosa

Subida de la Virgen de las Nieves

Subida de la Virgen de las Nieves

Sicuramente sono un po’ cattivo ad accostare questa foto, presa qui, il giorno della festa della risalita (la Subida) della Madonna al suo Santuario delle Nevi, con il dipinto di Bosch riportato qui sotto.

Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch

Non c’è dubbio che i bravi spagnoli della processione assomiglino ben poco ai gaglioffi messi in scena da Bosch, ma ai meccanismi associativi non si comanda, e quando la foto mi è capitata sotto gli occhi la mia mente è subito corsa al dipinto fiammingo. Se lasciamo perdere la valutazione morale, probabilmente non pertinente, il legame tra le due immagini sta nella natura sacra dell’evento, nel suo essere comunque una processione, e nel fatto di cogliere tanti volti ciascuno preso nella propria specifica attività, nei propri pensieri.

La processione era sterminata ed entusiasta, però mica si può essere sempre concentrati sull’evento sacro, che è anche (o soprattutto) un evento festivo, collettivo e spettacolare. Ed ecco questi volti divaganti o sorridenti, proprio vicinissimo al Sancta Sanctorum della processione, il baldacchino della Virgen appena dietro di loro.

La foto va ingrandita e i volti osservati uno per uno, compresi quelli in alto a destra, un piccolo esempio dei grappoli di persone che dappertutto aspettavano la processione per vederla dall’alto dalle proprie finestre e balconi, per poi subito dopo scendere e accodarsi a loro volta.

E infine (oltre alla scuola di musica) ci sono i fotografi, proprio come me, che prendono immagini da mostrare, come questa che state guardando – o come quella esibita dalla Veronica nel dipinto di Bosch.

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Della foto di una frustrazione

La Montagne Sainte Victoire

La Montagne Sainte Victoire

Quando si passa di lì, sull’autostrada della Provenza, poco dopo Aix-en-Provence in direzione dell’Italia, chi ha amato i dipinti di Cézanne non può fare a meno di guardare e riguardare la Montagne Saint Victoire. È una visione insieme affascinante e frustrante, perché non si può non comparare l’esperienza rilassata del pittore che ne godeva dai migliori punti di vista, e ricreava sulla tela quel fascino, con l’esperienza nostra, lanciati in velocità sull’autostrada, con la visione continuamente interrotta dalle emergenze sia naturali che dell’autostrada stessa. E poi, quella volta, non stavo nemmeno guidando io; quando guidi, è ovviamente ancora peggio.

Non so (e stavolta non mi importa) se questa è una bella foto, in sé. A me piace perché è una foto che rappresenta un’esperienza, quella di chi cerca nel mondo attorno tracce dei propri miti senza poter uscire dai binari della vita che conduce. (C’era anche il parabrezza un po’ sporco, oltre ai cartelli, ponti, guard-rail, camion…)

Paul Cézanne, La montagne Sainte Victoire, 1905

Paul Cézanne, La montagne Sainte Victoire, 1905

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Della foto di un campo da gioco con colonne e bambini

Campo di gioco

Campo di gioco

In questa città invisibile, che è la stessa di questa, le linee di terra dei campi da pallone per i bambini sono fatte con la luce del sole, mentre le porte sono colonne monumentali di pietra.

Di questa foto, oltre alla nettezza della luce, e all’aria di giornata festiva che si respira, mi piace la rima tra la sequenza delle colonne a sinistra e quella delle colonne a destra, ciascuna disposta in una dimensione spaziale differente; e poi il modo in cui questa serietà geometrica e statica viene messa a contrasto con le posizioni casuali e dinamiche delle figure umane.

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Di una foto col giallo e l’azzurro

Giallo e azzurro

Giallo e azzurro

Questa foto potrebbe legittimamente fare da pendant a quella della scorsa settimana, ed è pure stata scattata nella medesima città; solo che qui i colori non sono solamente sul fondo, inquadrati dalle quinte bianche e grigie. E le diagonali stanno anche nelle pareti di sfondo, così che non c’è un appoggio definitivo alla fuga dello sguardo.

A me piace anche quell’ombra in alto, la cui diagonale viene ripresa dalla curva del muro proprio di fianco (di cui non riesco a capire il senso architettonico), perché fa parte di un gioco di zigzag che corre dappertutto, dal basso all’alto, dai lati al centro. E c’è persino il lampione, a sinistra, ad abbozzare un ulteriore ritorno.

E poi mi piace che al giallo che sfuma verso il grigio si contrapponga quel cielo di un azzurro così uniforme, quasi irreale se comparato alle scrostature e sfumature dei muri.

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Di una foto dal bianco e nero al colore

La stradina

La stradina

Ho leggermente giocato di saturazione, con questa foto, proprio perché il grosso della foto è per sua natura in bianco e nero. Questa serie di tonalità di grigio, dal quasi bianco dominante ai vari grigi delle modanature e delle macchie sui muri, mette natualmente in evidenza le poche aree davvero colorate, cioè il cielo in alto, il muro giallo di fondo in basso, le linee azzurre della casa a sinistra, e qualche piccolo dettaglio qua e là. Tra questi dettagli, mi piace molto quella strisciolina gialla proprio alla base del cielo, che riprende e rilancia per un soffio il colore del muro più sotto.

Certo, l’organizzazione prospettica, un po’ a quinte, contribuisce molto a questo effetto. È come se una realtà in bianco e nero inquadrasse il proprio fondo vero, facendolo risaltare. Come quando ci si veste in nero e bianco (o grigio e bianco) per fare risaltare la cravatta colorata – che lei, davvero sì, ci rappresenta; mentre il resto è “come si deve essere”.

Per quanto riguarda lo specifico del luogo in cui la foto è stata scattata, magari si tratta di un caso: non è tutta così. Però un bel caso. Una città invisibile dove il colore è sempre laggiù, sul fondo. Lo puoi raggiungere quando vuoi; ma la vita è un’altra cosa, in bianco e nero?

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Di una foto di cose che salgono

L'albero e la torre

L'albero e la torre

Tra chi mi legge, credo che molti siano in grado di riconoscere al primo sguardo questo luogo. Ma non è il luogo che mi interessa, quanto il contrasto tra l’albero e la torre.

L’albero, oggetto naturale, è pieno di punte, di irregolarità, di scabrosità. La torre, oggetto umano, è liscia, rotonda, lineare. L’albero è scuro e la torre è chiara, ma poi la luce gioca sull’uno come sull’altra.

Tra questi due pilastri contrapposti, si innalza la città, fatta di case (umane) con sprazzi di vegetazione (naturale). E il contrasto proposto da albero e torre si ritrova ovunque, qua e là.

Però non è tutto. Ero stato tentato di tagliare la foto a sinistra, ma quando l’ho fatto davvero qualcosa non funzionava più, qualcosa mancava. E così mi sono reso conto che anche il tronco all’estrema sinistra è importante, anche se nega i termini della contrapposizione, e pur essendo naturale è liscio come la superficie della torre, e, a sua volta, quasi chiaro.

E allora è come se albero liscio e torre fossero due quinte lineari che aprono il campo alla complessità del mondo che sta dietro di loro, contorto e liscio, lineare e sfaccettato.

Infine, tutto, qui, sale, a qualunque mondo appartenga: la torre come gli alberi come le case, dall’ombra del portico in basso alla luce del cielo. È un luogo che amo molto. Chissà se dalla foto si capisce.

 

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Di altre foto di porte portoghesi

Olhao, Algarve, Porte (e qualche finestra)

Olhao, Algarve, Porte (e qualche finestra)

Prosegue il discorso della scorsa settimana, stessa città, stessa occasione.

Tra queste, sono particolarmente affascinato dalle due porte che non ci sono. Come fa una porta a essere affascinante quando non c’è? Basta che faccia notare la sua assenza, dovrebbe essere la risposta. Sì, ma c’è di più; e lo si capisce a guardare i colori di queste non-porte, rispetto a quello che hanno attorno.

Trovo bella anche quella fatta solo di assi, a sinistra nella seconda fila dal basso. Sarà grazie al muro attorno, ovviamente. Un’altra non-porta, di fatto.

Forse qualcuna ne ho ancora. Le devo cercare?


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Di tante foto di porte

Olhao, Algarve, Porte (e qualche finestra)

Olhao, Algarve, Porte (e qualche finestra)

Molti anni fa, quando viaggiare in autostop era possibile persino in Italia, avevo una fidanzata che studiava a Salisburgo, in Austria. Ero diventato un esperto dell’autostrada del Brennero, e della deviazione per Salzburg. Una volta mi prese su un tedesco dall’aria rockettara, che aveva una quindicina di anni più di me (ed era effettivamente anche il batterista di un gruppo rock). Si chiamava Wolfgang Lauter, e di mestiere faceva il grafico. Però, a parte il suonare, si era trovato un hobby molto conveniente: girava l’Europa facendo foto, e realizzava con quelle foto dei libriccini pubblicati dalla Taschen, che vendevano piuttosto bene; con il ricavato si pagava il prossimo viaggio, e così via. I libriccini erano monografici: Porte e finestre, Tetti, Scale, Gallerie urbane… Facemmo amicizia, e per il libro sulle scale venne in seguito a Bologna, dove fu mio ospite, perché gli avevo raccontato che nei palazzi bolognesi stavano nascoste (ed è vero) un sacco di magnifiche scalinate monumentali. Si chiamava, e si chiama ancora Wolfgang Lauter. Non l’ho più sentito da allora, ma ho trovato il suo sito Web, che è questo.

Ne parlo perché l’idea di fotografare ossessivamente un tipo di soggetto mi viene da lui, sostanzialmente. Tuttavia, le porte delle case di Olhao, una cittadina dell’Algarve, sono così belle, che magari ne avrei fotografato ugualmente centinaia, anche senza il suo esempio. Io le trovavo incantevoli, per colori e forma, persino quelle semplicissime, magari solo per il contrasto col colore del muro attorno; e persino quelle moderne, con ingenue (ma non troppo) forme funzionaliste.

Se le porte sono da intendere come altrettante promesse di quello che si può trovare varcandole, questa dev’essere una città dove la vita è dolce. Anche per quello che sono riuscito a vedere davvero, non sembrava comunque male.

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Di un’altra foto ambigua

A vela, a fiamma

A vela, a fiamma

Siate sinceri. Quanto vi ci è voluto per capire che cosa inquadra questa foto? Mezzo secondo almeno i più veloci, direi; un secondo e più gli altri, ammesso che alla fine l’abbiate capito. Se ancora non ci siete arrivati non è un disonore, anche se il faretto in basso a destra è una buona chiave per arrivarci.

Oggi questa meravigliosa volta a vela non è più così. C’è stato un restauro, i muri sono stati ridipinti con un colore più giallastro, le bocche di luce oscurate per permettere le proiezioni. Scelte estetiche (discutibili) e necessità funzionali (inevitabili – peccato!).

Francesco di Giorgio Martini era un genio. Il funzionalismo di 450 anni dopo non ha fatto che riscoprire quello che lui già sapeva – anche se modulato nelle forme del suo tempo. E tra le cose che il suo tempo gli insegnava c’è anche il fatto che nemmeno in architettura è necessario che la ripetizione debba avere necessariamente parametri omogenei. Qualche volta l’omogeneità ci vuole, ma in qualche altro caso possono cambiare distanze e dimensioni (e chissà cos’altro) purché non si perda il senso dell’iterazione e del ritmo – il quale anzi può persino risultarne arricchito.

È un po’ come con le onde del mare. Non possiamo certo sostenere che non definiscano un’iterazione e un ritmo, ma non ci sono due onde uguali o con il medesimo periodo. Lo stesso vale per queste straordinarie bocche di luce nella volta a vela, che sembrano altrettante fiammelle di candela incurvate dal vento.

D’altra parte, se cancellassi qualche dettaglio, e rendessi un po’ più indistinto il tutto in modo da far scomparire la grana dei muri, potrei ben spacciare questa immagine per un dipinto astratto, una sorta di Lucio Fontana curvilineo. Ma chi era fan di chi? Oppure è solo nella mia testa che si creano questi collegamenti?

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Di una foto del mondo nel riflesso

Il riflesso

Il riflesso

Certo l’hanno fatto apposta. In questo modo Sancos Seguros riesce a risiedere in un edificio moderno pur rivestendosi anche delle forme di uno più antico, inizio Novecento, dando così a chi passa un’idea di persistenza nel tempo e dunque di stabilità che a una compagnia di assicurazioni fa sicuramente comodo.

Bisogna essere maligni per far notare che il riflesso del passato è inevitabilmente deformato dalle modalità del presente, ed è tanto più fascinoso perché in realtà non si capisce bene come sia fatto e dobbiamo comunque aggiungerci del nostro, che sarà sempre come ci piace che sia (proprio come insegnava, già a suo tempo, il Gran Maestro di trucchi di questo genere, Gian Lorenzo Bernini).

Però la statua è vera, e gli alberi in parte anche. Me lo vedrei bene come occasione per una storia di Dylan Dog. E anche la città nel suo complesso forse gli si addirebbe, non meno di Londra.

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Di una foto di muri dai colori chiari

Bianco, giallo e azzurro

Bianco, giallo e azzurro

Finita l’estate, le vacanze, questa foto presa in un luogo che ne potrebbe essere, per molte persone, una sorta di simbolo.

A doverla commentare, mi vengono riflessioni simili a quelle della scorsa settimana. C’è tutta questa geometria, tutti questi piani giustapposti, queste prospettive sfuggenti e appena accennate, queste tinte da quadro astratto.

Eppure, più forte di tutto questo, c’è il senso di luce e di caldo, di bello, di cielo e magari di mare (anche se non si vede); comunque di sud, di Mediterraneo. La geometria diventa solo il tramite visivo della passione – per quanto strano questo accostamento possa apparire.

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Della foto di un triangolo rosso (in città)

Il triangolo rosso

Il triangolo rosso

Di questa foto, scattata proprio qui, mi piacciono certamente la composizione geometrica e quella cromatica. Ma ciò che davvero mi turba è quel triangolo rosso sotto l’arco, verso destra, a cui non sono capace di dare un senso reale.

Non ricordo che cosa ci fosse lì, e non capisco che cosa ci possa essere, di quel colore, in quel punto. Resta, ai miei occhi, come il triangolo di una composizione suprematista, piovuto quasi arbitrariamente in mezzo alle case. Eppure, d’altra parte, non smette neppure del tutto di avere un senso reale: magari c’è, lì, un pezzo di muro rosso illuminato, oppure è un pezzo di un’insegna rossa visto di sbieco.

In questa tensione irrisolta si condensa il senso dell’immagine nel suo insieme: è una foto, e quindi testimonia qualcosa che è stato davvero così; ma è anche, insieme, una composizione geometrica, e quindi rimanda a un universo visivo puramente umano, intellettuale e finzionale.

Chissà perché, a me queste cose danno moltissimo gusto. È come quando scopri la continuità dove prima vedevi solo rottura. E tutto acquista di colpo un sacco di altri sensi.

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di Daniele Barbieri

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