Trovo questa bella grande vignetta (a piena pagina) dentro Oche, di Lorena Canottiere, da poco uscito per Coconino. La trovo bella, molto ben disegnata e con un tratto originale. Apre, dopo una specie di prologo, una storia che mantiene le promesse delle prime pagine, forse con un pelino di buonismo di troppo. Non è però della storia o del libro che voglio parlare, ma di questa medesima immagine, che trovo a sua volta un ottimo esempio di focalizzazione complessa.
Ci sono quattro figure umane in questa immagine, una molto vicina a noi, grande, una più piccola e più scura in secondo piano, e due ancora più piccole, sul fondo. L’immagine della ragazza, vicina e grande, è fatta per richiamare per prima l’attenzione, per posizione e dimensione. Poiché però non mantiene le promesse percettive (nonostante sia in primo piano la sua figura è molto meno definita di tutto quello che le sta attorno), l’attenzione la abbandona immediatamente, e si sposta sulla seconda figura umana disponibile, quella del ragazzo sotto l’albero, e qui si ferma. Sappiamo che questa è una vignetta di una storia a fumetti, e cioè di un racconto; e un racconto ha dei personaggi, i quali sono di solito umani: anche l’albero è infatti molto ben definito, e la sua chioma si trova pure nella posizione privilegiata per iniziare la lettura, in alto a sinistra, tuttavia è molto improbabile che l’albero possa essere un personaggio – perciò lo ignoriamo, se non come contorno, contestualizzazione.
La figura del ragazzo sotto l’albero ha invece diverse caratteristiche per essere focalizzata, e mantenere sufficientemente a lungo la nostra attenzione. Non si trova al centro, ma nemmeno troppo lontano dal centro, e, soprattutto, la dominanza di tonalità scure e di figure definite a sinistra ha spostato il centro percettivo dell’immagine verso quella parte. Ancora di più conta però il fatto che il disegno della figura del ragazzo sia molto più definito di quello della figura della ragazza: più contrastato, più fitto di segni e di dettagli, insomma tanto più carico di informazioni da chiederci di osservarlo con cura, perché probabilmente quelle informazioni serviranno. Infine, e non è un dettaglio trascurabile, il ragazzo guarda verso di noi, o forse guarda la ragazza in primo piano (la quale invece guarda altrove, fuori campo, a destra).
Lo sguardo del ragazzo, non potendo noi decidere se sia rivolto a noi o alla ragazza, ci interpella e insieme definisce una relazione potenzialmente significativa per il racconto. Si tratta di due ragioni diverse e concorrenti di interesse (anche se remano nella stessa direzione): la prima più generica, basata sul fatto che è frequente che il soggetto di una foto guardi in macchina; la seconda più narrativamente specifica, perché in quello sguardo su di lei c’è già un pezzo di racconto. Proprio attraverso quello sguardo la nostra attenzione può tornare adesso su di lei, memorizzandola come un potenziale altro personaggio (e sarà davvero così, già poche pagine dopo). Ora ci accorgiamo che la sua posizione in primo piano le ha comunque fornito un privilegio: anche se la prima focalizzazione su di lei è stata sfuggente, questa seconda focalizzazione non lo è. Certo, a giudicare da questa immagine, il protagonista della storia rimane lui, anche se lei potrebbe avere un ruolo di rilievo. In seguito, come scoprirà chi si leggerà la storia della Canottiere, entrambi saranno in verità protagonisti a pari grado, come anche un terzo personaggio, già introdotto nel prologo.
E i due personaggi sul fondo? Forse quelli nemmeno li si nota: quando lo sguardo arriva sino a loro ha già compiuto il percorso di andata e ritorno tra la ragazza in primo piano e il ragazzo sotto l’albero, e la storia ha già, sin da ora, preso una piega che non li riguarda. Naturalmente il seguito di una storia può sempre ribaltare le premesse; tuttavia se qui facesse così avremmo ragione di sentirci portati volutamente sulla strada sbagliata – cosa che si può fare, certo, ma bisogna che se ne capisca il motivo. Inoltre i due personaggini sul fondo sembrano immersi in una loro specifica conversazione, che niente ha a che fare con gli altri personaggi, comunque maggiormente focalizzati. Insomma, anche loro, alla fine, proprio come l’albero, non sono che contorno, contesto.
Se questo fosse un film, anziché una storia a fumetti, avremmo probabilmente una prima inquadratura che mostra la ragazza a destra troppo vicina per essere davvero focalizzata, proprio mentre sta uscendo di scena, lasciando solo il ragazzo sotto l’albero a popolare l’immagine. A questo punto l’inquadratura dovrebbe durare abbastanza da permetterci di concentrare la nostra attenzione sul suo sguardo (e un po’ di zoom potrebbe aiutare questa focalizzazione), mentre per rivelarne l’oggetto dovremmo avere a questo punto un controcampo che inquadri la ragazza che si allontana.
Questa immagine, così ben costruita, fa tutta da sola il lavoro di queste tre inquadrature cinematografiche, giocando sul percorso della nostra focalizzazione. Nel cinema, questo percorso deve essere reso almeno in parte più esplicito (naturalmente anche il cinema ha i suoi margini di manovra, come dimostra il fatto che nella seconda – ipotetica – inquadratura, non è necessario lo zoom perché la focalizzazione si porti sul ragazzo sotto l’albero); ma il cinema è legato a tempi reali, quelli dello scorrimento della pellicola, mentre il fumetto costruisce dei tempi ideali attraverso la conduzione dell’attenzione e dello sguardo. In più, la traduzione cinematografica che ipotizziamo sarebbe già più definitoria, perché il controcampo sulla ragazza che si allontana espliciterebbe inevitabilmente una relazione tra i due che in questa immagine rimane assai più suggerita.
Le immagini durano, e il tempo della loro percezione può facilmente trasformarsi, nel racconto a fumetti, in durata raccontata. Ma di questo torneremo a parlare.
P.S. Per fortunata coincidenza (o focalizzazione parallela), nel tempo che intercorre tra la stesura di questo post e la sua uscita è uscito anche un post di Marco D che tratta una questione piuttosto simile di focalizzazione, però in fotografia.
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