Lo so che l’effetto sarebbe disgustoso, ma questa roba vista così da vicino mi fa venir voglia di masticarla, di prenderla in bocca, di inglobarla…
È una piccola vertigine.
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Questo è un Dettaglio da guardare (anche) da vicino. Questi coppi che si ripetono, nell’inesorabile ritmicità verticale e poi orizzontale, fila dopo fila, in realtà sono tutti uno diverso dall’altro. Come le onde del mare, che definiscono un ritmo, ma non ce n’è mai una uguale all’altra. O come i versi di una poesia, liberi o isosillabici, tutti diversi ma tutti anche sufficientemente simili da creare ripetizione, certezza, familiarità. E poi ci sono i due muri, quello color cotto in basso e quello biancastro in alto. Sono i limiti esterni della forma che si ripete (fosse per lei, come le onde, la forma ritmica proseguirebbe all’infinito). E c’è anche l’inversione della forma proprio in basso. Certo, sono i coppi di sotto, quelli che devono raccogliere l’acqua, ma qui è una piccola variazione ritmica proprio sul finire, come un modo per dirci che è andata così, ma poteva anche andare cosà. Anche qui, come nel Dettaglio della scorsa settimana, c’è qualcosa di irreale e bidimensionale. Ma al tempo stesso c’è anche qualcosa di turbinoso, in questo accalcarsi di rotondità che sembrano quasi interpenetrarsi. Sappiamo che non lo fanno – sono coppi – ma ci provano lo stesso. Questo Dettaglio mi piace perché sembra bidimensionale e non lo può essere. Voleva far parte di una serie che potrei intitolare “Bandiere”, perché tutte basate sulla presenza di tre strisce orizzontali. Qui manca la terza striscia, quella in alto, ma l’effetto bandiera è presente lo stesso. La fotografia rivela le astrazioni geometriche nascoste nel mondo (potenza dell’inquadratura, e del formato rettangolare), ma conserva anche il mondo, almeno visivamente. Qui, nonostante l’astrazione, rimane anche la voglia di mettere i piedi a bagno, dentro quell’acqua. È un semplice acciottolato. I colori non sono stati manipolati, anche se, certo, la macchina fotografica stessa tende a enfatizzare delle differenze cromatiche che comunque la realtà inquadrata possiede. Qui, quello che mi colpisce è questa trasformazione del colore nelle varie zone della foto, che allude a un modo complesso di distribuzione della luce qui attorno. Quali oggetti, quali muri circostanti riflettono diversamente la luce in modo da dare ai sassi quei colori? Così diversamente colorati, i sassi sembrano disporsi a creare strane forme, costellazioni, configurazioni, quasi un piccolo Pollock fotografico di pietra (si parva licet componere magnis).
Ci sono tanti verdi in questa foto, chiari, scuri, brillanti, opachi. E poi c’è un solo dettaglio rossiccio, proprio al centro. Le linee principali, a parte qualche verticale, sono quelle della collina, che vanno verso l’alto a destra. E poi c’è la linea dei fili della luce, unico dettaglio bianco, che va verso il basso a destra, indicativamente ortogonale alle altre. Forse per questo mi piace questa immagine: la dinamica diagonale delle masse, e il monocromatismo verde contraddetto in una dialettica centro/non-centro. La trovo un’immagine molto ritmica, e insieme una metafora della solitudine, ma una solitudine felice, direi. Questo è un Dettaglio complesso, che mi piace proprio per questo. Intanto ci sono molti, moltissimi stimoli visivi: il primo piano dei coltelli, ordinati ma non troppo; il secondo piano della vetrina dietro di loro; e poi tutto il mondo davanti, fotografo compreso, nel riflesso del vetro. Nel riflesso si intravedono dei manifesti a sinistra, la mia figura appena più a destra, e poi una massa di vegetazione in tutta la metà destra, che si trova anche ribadita dal metallo delle lame. Alcune lame riflettono anche qualcosa di rosso, che non è sangue, dunque, nonostante la posizione. La parte del mondo in cui è stata presa questa foto non è difficile da intuire, visto che la sagoma della regione è incisa su gran parte dei manici, e anche su alcune lame. Cosa mi piace in questa foto? Varie cose. La prima è il ritmo dei manici bianchi e delle lame grigie e verdi. La seconda, e più importante, è che la complessità visiva crea un percorso interpretativo quasi obbligato, e delle sorprese. Quando l’occhio cade su questa immagine, la prima cosa che vede è l’effetto quasi bidimensionale dell’esposizione dei coltelli, con il ritmo dei colori, e questa ambiguità tra l’aspetto gioioso/giocoso e la natura in fin dei conti mortifera di questi oggetti. Poi, solo subito dopo ci si accorge del rumore visivo che appanna l’immagine, e della necessità di introdurre una terza dimensione. A questo punto il mondo dietro e (soprattutto) il mondo davanti si disvelano progressivamente, e mai del tutto; e sono normali, quotidiani, non particolarmente gioiosi/giocosi e per nulla trucidi. Però è proprio quella normalità a far risaltare, per contrasto, l’esposizione ordinata di oggetti pericolosi. (Per la cronaca: quando ero lì sono rimasto un po’ a guardare questa conturbante e fascinosa esposizione, ho fatto le mie foto, e poi mi sono comperato un coltellino pure io, un Opinel, o meglio una copia di Opinel, senza però il profilo geografico sul manico) Non sono bolle di mercurio sulla superficie dell’acqua (anche perché il mercurio non starebbe a galla). È solo che il cielo era sereno in parte e in parte annuvolato (il sole, coperto), per cui le creste delle onde riflettono ora un colore ora l’altro, ora una combinazione. Il fatto è che, fermati dallo scatto, quei riflessi diventano oggetti concreti, quasi solidi, metallici (e anche non fermati, il mare era tutto un agitarsi di stringhe d’alluminio – o di nastri da regalo argentati). Ma quello che è inquietante è che questo mare è tutto butterato, e non so proprio perché (l’acqua era pulitissima, non pioveva, non c’erano bolle d’aria in emersione…). E comunque, nonostante l’immobilità della foto, io continuo a perdermi anche adesso nel movimento di quei profili più o meno azzurri, più o meno grigi. La foto ha fermato il tempo, in verità, non la perpetua oscillazione. I colori sono quelli, complice anche l’ombra (in alto a destra, dove c’è una lama di sole, il verde delle foglie rivela appena in tempo di essere in verità assai più brillante di così). E non sono bonsai, quelli, ma alberi veri. Insomma, non è un presepe, o un plastico, o una parete finto-naturale in uno zoo. Che cos’è che è inquietante? Questa poco accessibile verticalità, o l’effetto prospettico che fa convergere le linee verso l’alto, o i colori assurdi? Oppure magari la completa naturalità di questa roba che sembra progettata apposta per colpire, per stupire? Insomma, cosa ci fanno gli alberi in questa sezione verticale di roccia? in questo regno minerale di silicati e calcari? Il punto di questo Dettaglio, direi, sono le righe quasi orizzontali, quasi regolari, dell’acqua, contrapposte (ma solo in parte) ai rami con le foglie, mentre i rami spogli tendono pure loro all’orizzontalità, seppure in maniera meno estrema. E poi c’è la sfumatura dal chiaro allo scuro, andando verso l’alto a destra, a cui corripondono anche i colori dei rami spogli, tesi l’uno verso l’altro un po’ come la mano di Adamo e quella di Dio in un affresco che ha una certa notorietà. Si intuisce un mondo, riflesso nell’acqua, ma troppo vagamente… Stessa situazione di due settimane fa, però qui l’onda è colta diversamente, in modo da mostrare tutta la varietà delle sue tonalità di bianco. Che cos’è che fa percepire il dinamismo, qui, mentre nell’altra foto tutto sembrava immobile? Magari il semplice fatto che qui il soggetto è immediatamente riconoscibile (e sappiamo quanto un’onda si muova!), oppure la configurazione a raggiera, dall’angolo in basso a destra verso l’alto e la sinistra, che evoca l’idea dell’esplosione. Quello che mi piace di questo Dettaglio è che i colori sono gli stessi dappertutto: lo stesso verde un po’ screziato di giallo, che la può far sembrare uniforme a prima vista, o a uno sguardo sfocato. Ma subito dopo emerge la differenza, che è nel modo in cui la luce è distribuita e organizzata, e quindi su come emergono le forme, definendo uno sfondo globuloso e a macchie, e un primo piano a linee e a lunghe e sottili aree luminose. Una foto con la sorpresa, insomma. Piccola, certo. Ma c’è. Più che un dettaglio spaziale, questa foto coglie un dettaglio temporale, di quelli che l’occhio nudo non può vedere, perché ci vuole l’eternizzazione dell’attimo colto dall’obiettivo per poterlo osservare con tanta cura. Non è un parabrezza sporco. Quella che state guardando è invece acqua, sospesa nell’aria. A pochi metri da me una forte onda si è schiantata sulla massicciata che protegge la strada. Io sono, incredibilmente, all’asciutto (o quasi). C’è qualcosa di festoso, in questa inutile dimostrazione di forza… Questo Dettaglio riguarda evidentemente le sfumature, l’acqua, la luce, e la sorpresa dei colori improbabili. Essendo fresco di scatto, non posso davvero escludere di essere invaghito più del soggetto che dell’immagine, vedendoci qualcosa che solo io ci posso vedere. Ma spero di no.
Non c’è dubbio che, essendo stagione di mare, siate stati colpiti prima dal soggetto che dalla composizione. Da questo punto di vista, là dove questa foto è stata presa questo era anche uno dei punti di minore densità di meduse. Ma al di là dell’horror balneare, quello che mi piace qui è questo effetto naturalmente flou, specie verso sinistra – ma anche la disposizione complessiva delle macchie di colore. Se uno non ci deve nuotare in mezzo, le meduse sono oggetti bellissimi; un quadro in perpetuo movimento.
Non sono davvero sicuro di sapere perché questa foto mi piace. L’ho scelta istintivamente tra un gruppo di immagini abbastanza simili, scattate su uno stradello non asfaltato. Sarà quella macchia di sole, o la disposizione dei sassi. Magari piace solo a me. Se piace a qualcun altro potrebbe darmi qualche suggerimento? Già la spirale di per sé è una forma piuttosto affascinante. Qui la si vede bene nella conchiglia più in alto. La spirale è un vortice, che evoca una traslazione dal macrocosmo al microcosmo, o viceversa, a seconda di come la si percorre; e, comunque sia, ci si sente trascinati a percorrerla. È quindi una forma diabolicamente dinamica, e di conseguenza inevitabilmente simbolica. Trovarne tante qui, immobili, nella luce calda e ferma del sole, incarnate nell’emblema stesso della lentezza, con questa materia così concreta e solida, con il legno del palo, e persino un ricciolo di cacca di chiocciola… insomma, c’è davvero un bel salto implicito, dall’astrazione inquietante al concreto quotidiano, e viceversa. Non so se queste lumache qui siano buone anche da mangiare. Ma che cosa succede, a livello simbolico, quando si mangia il contenuto di una spirale? |
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