Le straordinarie copertine realizzate da Dave McKean per diverse serie di comic book americani mostrano bene che cosa ne sia dello strumento fotografico nell’epoca di Photoshop. Credo che a nessuno verrebbe infatti in mente di considerare i dettagli palesemente di origine fotografica che appaiono in molte di quelle immagini come testimonianze di una qualche realtà, di una qualche oggettività che da qualche parte in qualche tempo ha avuto luogo.
Eppure, d’altra parte, non ha neanche molto senso considerare quei dettagli come banali scorciatoie produttive, perché si fa prima a utilizzare un brandello di fotografia che non a disegnare quel particolare con un qualche tipo di tecnica manuale. McKean fornisce continuamente prove troppo evidenti della consapevolezza con cui gioca i propri elementi costruttivi per non dargli credito anche su questo.
Il punto infatti è proprio che, a questi dettagli, qualcosa del valore di testimonianza del reale comunque resta, ed è anche su questo residuo di realismo che l’autore gioca per costruire il proprio effetto comunicativo.
La copertina di The Dreaming che apre questo post è probabilmente realizzata del tutto con frammenti fotografici – a parte i caratteri della testata, anche se la loro fattura li potrebbe comunque far scambiare per tali. Nel complesso, per la qualità delle sfumature e della grana dei materiali riprodotti, l’immagine potrebbe anche essere davvero una singola fotografia – se non fosse che la sua collocazione (copertina di un albo a fumetti) e l’improbabilità del suo soggetto ce lo fanno escludere.
Ma l’allusione al reale che questa non-fotografia compie è comunque importante. Ciò che essa rappresenta è infatti a sua volta una rappresentazione: una complessa scultura in marmo o avorio da cui emerge, o meglio, da cui sembra stare uscendo una figura umana. Questa figura è, verso il basso (la parte più arretrata del gesto di emersione, ancora vicina al blocco scultureo), certamente di marmo o avorio, e continua a esserlo nelle braccia e nel tronco – mentre nel viso, che è la parte più avanzata, più vicina a noi, qualcosa è decisamente differente.
Al di fuori di questo viso, infatti, tutto è riconducibile abbastanza tranquillamente a delle convenzioni iconografiche note, e solo l’immersione delle braccia nel reticolo delle piccole figure può apparire non canonica. Il viso, invece, è decisamente non canonico: se questo è un angelo, o un Cristo (come potrebbe suggerire la forma del drappo che gli copre i fianchi), la calvizie e il labbro leporino sono immediatamente inquietanti, un improvviso tocco di eccessivo realismo. E quando si osserva questo, ci si prende anche immediatamente conto che la grana della materia delle guance, del mento e di tutta la parte inferiore del viso non è quella di una statua, bensì proprio quella della pelle vera, così come vero è il naso, e quel riflesso dell’occhio lucido che emerge dall’ombra.
La figura grande procede quindi verso di noi, come liberandosi dall’universo della rappresentazione per fare il suo ingresso in quello reale; ed è insieme una figura sinistra, ambigua. Nel contesto complessivo di finzione, l’apparenza fotografica crea un effetto di realtà, così che questo Cristo demoniaco sembra davvero colto nell’atto di acquisire carne, uscendo dalla propria materia statuaria di origine, e venendo verso di noi – creatura da incubo che esce dal sogno per entrare nel reale…
Anche l’altra copertina, in basso, realizzata per The Sandman, gioca sull’effetto fotografico, però quasi in direzione opposta. La parte fotografica è una cornice di legno, anzi, una serie di cornici concentriche. Ciò che la cornice inquadra è ovviamente un disegno (o un dipinto); salvo che la cornice è rotta, e attraverso lo squarcio si capisce che ciò che credevamo disegnato è invece il mondo reale, che la cornice si limita a inquadrare. Pur non smettendo di apparire come una cornice, la cornice si rivela ora una sorta di finestra, e la sua realtà (testimoniata dalla sua riproduzione fotografica) si trasmette a ciò che essa inquadra, nonostante si tratti chiaramente di un prodotto della mano.
Anche per questi esempi sarebbe pertinente la citazione di Borges con cui abbiamo aperto il post di lunedì scorso. Per McKean il dettaglio fotografico è l’effetto di realtà che confonde le acque, permette ai diversi livelli di interagire, mescola il Don Chisciotte letto con quello che lo legge. Ma se in Frank Miller tutto questo serviva per dichiarare ad alta voce: “Attenti, questo è spettacolo”, nelle copertine di Dave McKean il rimando al sogno è sufficiente a tematizzarle. È come se McKean ci avesse ripetuto, copertina dopo copertina, declinato in tanti modi diversi, lo stesso motto shakespeariano pronunciato dalla voce di Prospero: “We are such stuff / As dreams are made on”, ovvero “siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”.
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