Due paperi, una coppia esplosiva
Il Sole 24 Ore, 21 dicembre 1997
Il papero dal becco lungo, dal carattere superficiale e dispettoso e dalla voce caratteristica, comparso per la prima volta in un cartone animato di Topolino nel 1934, ricevette un aspetto grafico definitivo e corrispondente all’attuale solo tre anni dopo, quando Al Taliaferro diede vita alle tavole di Donald Duck, Paperino. Nelle storie di Taliaferro Paperino era un borghese casalingo, alle prese con problemi di tutti i giorni, impestato da un certo momento in poi dall’arrivo di tre terribili nipotini.
Taliaferro portò avanti il suo personaggio per alcuni anni, caratterizzando Paperino come il più autentico uomo della strada, con tutti i suoi difetti (e anche un buon numero di pregi). Le brevi storielle rappresentavano un ambiente familiare o di piccolo vicinato; piccola satira personale e sociale.
Quando nel 1943 a Taliaferro subentrò Carl Barks, lo spirito delle storie iniziò subito a risentire della nuova mano. Le storie di Barks dei primi anni sono caratterizzate da un ritmo narrativo forsennato, in cui l’ambiente ancora e sempre più o meno casalingo viene stravolto da ridicole incomprensioni con animali, vicini, o con gli stessi nipotini. Paperino si anima di una vitalità che Taliaferro (che di qualità, come autore, ne aveva comunque avute parecchie) non era riuscito a donargli. In qualche modo Barks recupera lo spirito del cinema di animazione e del suo vitalismo paradossale, riproducendolo sulla carta con un’abilità senza precedenti.
Ma l’abito incomincia presto ad andargli stretto. Le storie dal ritmo forsennato ma con la logica elementare di botta e risposta, azione e reazione, pur nella loro estrema godibilità non sono sufficienti a Carl Barks. Grosso modo, il cambio di registro coincide con la creazione di un nuovo personaggio, Uncle Scrooge, Paperon de’ Paperoni.
L’ingresso di un riccastro nel mondo piccolo borghese di Paperino cambia per sempre la sua vita di personaggio. Il semplice confronto con la smisurata ricchezza dello zio modifica alla base il contesto di riferimento narrativo: dal 1947 in poi le storie di Barks non possono più essere semplici vicende di casa e giardino (per quanto tornino spesso ad abitare anche questi semplici luoghi). La differenza di stato sociale, il problema del guadagnarsi da vivere, la sete di ricchezza, diventano temi ricorrenti e dominanti.
Certo, trattati con leggerezza e arguzia. Ma lo zio Scrooge, che in italiano perde il riferimento al famoso avaro del Natale di Dickens, è il prototipo del capitalista, disposto a tutto pur di racimolare anche solo qualche spicciolo in più; talmente stereotipico nel suo assatanato desiderio di denaro da riuscire persino simpatico, alla lunga. Dalle primissime storie, infatti, in cui zio Paperone è un personaggio veramente avido e assai poco simpatico, piano piano Barks ne fa uscire tutto il suo spirito di avventura. Così l’avaro riccastro rivela la parte migliore della vocazione di imprenditore a tutto campo: ovvero la capacità di non tirarsi mai indietro davanti a nessuna impresa.
Presto dunque, con Paperone, le storie di Barks diventano storie di avventura, ambientate in luoghi esotici e fantasiosi, anche se con riferimenti più o meno evidenti al mondo reale. Paperino non è più il piccolo borghese che vive un’esistenza legata alla casa, ma il contraltare comico di un avventuriero fanatico, il Leporello di un don Giovanni della ricchezza. La coppia Paperino-Paperone gira per i luoghi più assurdi e dimenticati del mondo, percorrendo in parodistici rovesciamenti tutti i luoghi tipici della letteratura di avventura – senza tuttavia perdere in questi ribaltamenti umoristici il senso del meraviglioso. Anzi aggiungendo, con i limiti più ampi che si concedono allo scherzo, meraviglia alla meraviglia.
La capacità di Carl Barks è stata soprattutto quella di averci fatto gustare l’avventura senza toglierci la possibilità di riderne; la sua abilità quella di concatenare eventi che da un’apparente banalità all’altra finivano per sfociare (spesso insensibilmente) nel grandioso – e tuttavia ancora con humor. Salvo poi ripescare, alla fine delle storie, quei dettagli dall’apparenza iniziale così insignificante, ora tanto più carichi di significato, ma anche di comicità.
Barks ci ha fatto ridere dei problemi della società americana senza nessuna pesantezza. Che di questo gli si possa imputare di essere stato il suo limite – perché talvolta una simile leggerezza finisce per far dimenticare il problema che pur viene posto, a vantaggio del divertimento della storia – credo non si possa negare. Ma d’altro canto difficilmente a un personaggio nato con lo spirito di Paperino si sarebbe potuto chiedere di più: anzi in questo senso Barks ha riempito di critica sociale i suoi fumetti più della maggior parte dei suoi contemporanei, e la loro leggerezza ha permesso che venissero letti da tutti.
Così Paperino ha potuto essere l’eroe negativo di una nazione che crede fermamente negli eroi, quelli positivi, senza nessuna apologia della negatività. La sua sfortuna ha fatto ridere tutti, e probabilmente ha fatto sì che qualcuno si rendesse conto che il pur simpatico zio Paperone qualche responsabilità in merito dovrà pure averla avuta.
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