C’è una sequenza magistrale alle pagine 39-41 de I segreti del Quai d’Orsay. Cronache diplomatiche. Il ministro Taillard de Vorms, per cui il protagonista scrive i discorsi, ha appena parlato a un meeting internazionale, e non è rimasto soddisfatto di quello che hanno scritto per lui. Il ministro e i suoi collaboratori sono a cena, e l’atmosfera è tesa. Il ministro cerca di spiegare come va scritto un discorso e, tra la sorpresa di tutti, prende ad esempio Tintin.
Nella prima pagina il tono visivamente dominante è scuro; si intravede appena la tenda color rosso vinaccia dietro al ministro. La figura del ministro incalza nelle vignette di sinistra, rivolgendosi verso destra, dove stanno invece le vignette con i collaboratori, rivolti a sinistra. È sufficiente questa collocazione per mettere il ministro in posizione di attacco, e i collaboratori in quella di difesa.
All’inizio il ministro occupa appena più spazio dei suoi collaboratori, distinguendosi solo per la camicia bianca contro le giacche scure. Poi, man mano che si infervora, acquista sempre più spazio nella pagina, e il fondo dietro a lui diventa rosso vinaccia. Nella striscia in basso, quando nomina Tintin, il ministro domina già lo spazio, con mani, naso e spalle come vettori puntati verso destra. E lì, a destra, sullo sfondo blu scuro, stanno i due collaboratori stupefatti.
La seconda pagina imbastisce il crescendo. È tutta rossa, eccetto la vignetta blu finale, con i due collaboratori esterrefatti – relegati ormai a un ruolo di testimoni del furore esplicativo del ministro. Le prime quattro vignette preparano la situazione: il ministro è sempre in posizione di punta in avanti, con mani naso e spalle, che gesticolano con discrezione, e intanto le parole impostano il climax: “Tintin” è ritmo, “Tintin” è musica, “Tintin” è una sinfonia.
Poi nella quinta vignetta lo spazio si riduce e il ritmo accelera, proprio mentre il ministro ripete: “Il ritmo”. E le sue mani incominciano ad agitarsi, mentre la voce dice “Tac, tac, tac, TAC, TAC”. Poi eccole a saltare da una vignetta alla successiva, e poi a mimare l’acapo di fine riga (giusto nella vignetta di fine riga), e poi di nuovo a saltare, e poi a mimare la scena che intanto la voce racconta. E poi, nell’ultima vignetta, la voce fuori campo continua a incalzare, sopra i volti dei testimoni.
All’inizio della terza pagina c’è l’esplosione, con la vignetta più grande, il ministro a quattro braccia, e l’evocazione di una grande vignetta: “E poi PAF! C’è un razzo a tutta pagina…”. Sembra il culmine del climax, e ci aspettiamo la discesa. E invece ora cambia la forma delle vignette, che diventano orizzontali, e la frenesia continua. Ma adesso, nei medesimi termini, si sta parlando di come va tenuto un discorso pubblico, con la mano che (tac, tac, tac) delinea il percorso da un punto al successivo, e descrive poi l’ascesa della tensione, e infine, insieme con l’acapo, ecco finalmente il TAC! che dovrebbe davvero chiudere il crescendo.
Ma proprio adesso, giusto al centro della pagina, c’è una prima vignetta dal fondo tutto nero, più piccola delle precedenti, in cui anche il volto del ministro ha acquistato delle ombre nere che prima non aveva, e gli occhi (che sino a quel momento erano stati solo dei puntini) si sono aperti, e la bocca ha assunto un’espressione amara: “La crisi, il terrorismo, le bombe!”, “Bisogna che le senta scoppiare…”, “Deve aver paura”. Questa è la vera conclusione del crescendo, che si riverbera nelle vignette successive, apparentemente ritornate alla tranquillità (il ministro ha ripreso a mangiare la sua bistecca, la voce è tornata ai collaboratori…).
Il ministro ci ha dato una formidabile lezione di retorica oratoria, prendendo l’andamento di “Tintin” come esempio, proprio mentre Blain e Lanzac ci stanno dando un’altrettanto convincente lezione di retorica fumettistica: come si conovoglia l’attenzione, come si costruisce un crescendo, come lo si adopera per risolverlo esattamente su quello che vogliamo sottolineare.
La lezione la danno loro. Questo mio è soltanto un link.
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