L’uso linguistico corrente rivela come stanno di fatto le cose: diciamo “ho letto un fumetto”, e diciamo “ho guardato la terza vignetta della prima pagina”; un po’ più raramente diciamo “ho letto la terza vignetta della prima pagina”. Se diciamo “ho guardato un fumetto”, di solito vogliamo dire che non lo abbiamo letto, ma ci siamo limitati a qualche occhiata fugace. Ho accennato a questo tema in uno dei primi post di questo blog, ma credo che sia il caso di riprenderlo ora con un poco più di respiro.
Non capisco infatti in che cosa consista la posizione di coloro che sostengono che i fumetti vanno guardati e non letti. Se significa che i fumetti sono fatti di vignette, e le vignette vanno guardate, allora hanno ragione; ma hanno ragione in un senso piuttosto banale. La psicologia della lettura di un testo verbale ci fa sapere che noi cogliamo le parole a piccoli blocchi, e quasi mai le scansioniamo sequenzialmente lettera per lettera: in altre parole, anche in questo caso guardiamo le singole parole e leggiamo il testo.
Certo, la vignetta è un oggetto visivo molto più complesso della singola parola, e richiede un guardare molto più articolato, che non comporta solo il semplice riconoscimento di una forma già nota, come quella della parola stampata. La vignetta è un’immagine, che richiede le strategie di esplorazione che sono tipiche delle immagini in generale, basate su un percorso visivo che è un compromesso tra quello che lo spettatore cerca e quello che l’immagine stessa gli propone. Ma la sequenza delle immagini non è a sua volta un’immagine, salvo quei casi in cui la costruzione della pagina sia essa stessa visivamente significativa. La sequenza delle immagini è una sequenza narrativa, proprio come la sequenza dei periodi o dei paragrafi di un romanzo: non può dunque che essere letta.
Certo, buona parte della differenza tra fumetto e romanzo sta nel modo in cui è costruito il microlivello, cioè il livello delle vignette da un lato, e delle frasi dall’altro, con l’aggiunta del modo in cui si susseguono. Esistono differenze anche al macrolivello narrativo o discorsivo, ma sono differenze assai meno rilevanti; lo mostra chiaramente il fatto che parliamo con disinvoltura di versioni a fumetti, versioni cinematografiche e versioni romanzesche della medesima storia. Viceversa, è pressoché impossibile delineare corrispondenze sensate al microlivello: la vignetta non è né la proposizione né il periodo ne il capoverso. Le cose, tra fumetto e romanzo, stanno semplicemente in maniera diversa.
Il guardare è dunque fondamentale in un fumetto perché determina il modo in cui si legge, ma noi leggiamo i fumetti, non li guardiamo.
Ciao Daniele.
Fortunatamente per me stesso, non ho mai conosciuto una persona che mi abbia detto che i fumetti vanno guardati. Ma (cerco) di capire cosa una persona possa voler dire con una cosa del genere. Piccole incomprensioni, credo, che nascono anche dal linguaggio. L’arte visiva in tutte le sue forme è sempre stata piena di questi “refusi”. I graffiti preistorici sulla pietra vanno letti o guardati? Perchè guardo un film e non lo ascolto?
Naturalmente non sono qui per dare una spiegazione, ma per ringraziarti di questo bellissimo spunto su cui ci sarebbero da scrivere (e anzi si sono sicuramente già scritte) millemila parole.
Seguo il tuo blog da poco, ma lo trovo davvero molto interessante.
Mi permetto di intervenire sulla questione 😉
Prima di tutto, e a parte tutto, lungi da me dare definizioni manichee e incontrovertibili.
Semplicemente, ritengo “guardare” più corretto di “leggere”, anche se questo non significa che mi esprima in linguaggio parlato corrente con “ho guardato l’ultimo numero dell’Uomo Ragno” piuttosto che con “ho letto”.
Dire “guardare” piuttosto che “leggere”, e l’ho fatto in un blog in cui cerco di dare un taglio “for dummies” agli articoli, scritti appositamente per un pubblico a digiuno di fumetti, secondo me taglia la testa al toro alla possibilità che il fumetto possa essere considerato un sottoprodotto letterario (e nel blog in cui sto scrivendo questo ciclo di articoli tra fumetto e poesia vedo il rischio ben presente).
Se diciamo che un fumetto è fumetto anche senza parole, mi sembra chiaro che un fumetto venga “guardato”, e che “guardare” non sia per forza di cose un verbo inapplicabile a narrazioni in sequenza. Nonostante usi le parole per procedere una narrazione, noi un film non lo le leggiamo né tantomeno lo ascoltiamo: lo guardiamo.
Sono un timido autore di fumetti di provincia, ed è in questo ruolo che sto scrivendo su quel blog e che farò delle cose correlate alla poesia nell’immediato futuro, ed è in questo ruolo che mi esprimo.
Proprio in questo ruolo, mi è difficile negare che quando realizzo (attenzione, “realizzo”, non “scrivo” e non “disegno”) una tavola a fumetti la mia prima preoccupazione è come questa sarà “vista”.
Inoltre, il “guardare” da un’incredibile sostanza al motto “né prima scritto né dopo disegnato”, sempre ideato da Boris Battaglia sul suo blog, che allude al fatto che i fumetti, cosa che mi trova d’accordo, non si fanno “scrivendo” e/o “disegnando” ma si fanno, appunto, “a fumetti”. Di questo, vista anche la recente scomparsa di Harvey Pekar, che era un’autore che pur non avendo mai disegnato i fumetti li faceva e non li scriveva, parlerò presto sulla Cassetta degli attrezzi
http://www.absolutepoetry.org/-La-cassetta-degli-attrezzi-
Baci!
c.
[…] il caso di riprenderlo ora con un poco più di respiro…” Articolo completo di Daniele Barbieri: click qui. // Share| News ← I quadri di Barks all’asta: soldi soldi soldi! — […]
@ Claudio/nuvoleonline
Capisco la tua preoccupazione, ma non la condivido; nel senso che non credo che parlare di “guardare” invece che di “leggere” possa aiutare a evitare di considerare i fumetti un “sottoprodotto letterario”, nemmeno nel bel sito di poesia per cui tu scrivi. Per esempio, le poesie concrete di cui ho parlato in un post la scorsa settimana sono evidentemente assai più da guardare che da leggere, eppure sono dichiaratamente un “sottoprodotto letterario”, per loro stessa ammissione – altrimenti non si autodefinirebbero “poesia”.
Sottolineare l’importanza dell’aspetto del guardare nel fumetto non significa doversi dimenticare della sua sequenzialità – che è ciò che fa sì che lo leggiamo, e non è la presenza di parole, come si dovrebbe capire bene dall’esempio di Breccia che ho messo qua sopra.
Sostenere che il fumetto sia una forma di scrittura, che produce una letteratura non vuole in nessun modo dire che questa letteratura sia parassita di quella di un’altra forma di scrittura. Ci sono delle parentele, e questo nessuno può negarlo, ma anche delle differenze enormi. Il cinema (senza con questo nulla togliere al suo valore, e nemmeno ai legami con il fumetto) non è una forma di scrittura, perché non sta, ma scorre; e quindi non richiede l’assunzione di un certo numero di convenzioni che invece riguardano sia la scrittura tout court che il fumetto. Per questo lo si guarda, come si guarda la realtà e come si guarda un’immagine o una singola vignetta (o anche una pagina, prima di iniziare a leggerla).
Infine, sul fatto che i fumetti si facciano non prima scrivendo né prima disegnando, mi sembra di aver detto la mia in maniera piuttosto esplicita nell’introduzione a Il pensiero disegnato, che è anche, in parte, riportata qui.
@Luigi
Come vedi c’è qualcuno che sostiene che i fumetti vanno guardati.
Ma la discussione continua.
Ciao a tutti
Ciao, in velocità!
nel senso che non credo che parlare di “guardare” invece che di “leggere” possa aiutare a evitare di considerare i fumetti un “sottoprodotto letterario”
Secondo me invece, lungi dal dare una soluzione assoluta o dal concludere un discorso, già solo dire “guardare” piuttosto che “leggere” stimola una riflessione corretta su cos’è il fumetto, a prescindere dal termine che poi si utilizza nel parlato comune.
Sulla poesia concreta, avrai notato che su Absolute Poetry sono io ad averne caricato un po’ di esempi, mi cogli in un campo che mi appassiona. Però se penso a Life, o a City o a Beba Cola… tutto parte, sempre, dalla parola, che viene destrutturata “concretamente”.
Nel fumetto invece la parola non è che un elemento e neppure obbligatorio: insomma, mi è più lampante il collegamento tra letteratura/poesia concreta che tra letteratura/fumetto.
Pardon, di corsa,
baci!
c.
Vedi, proprio il fatto che la parola, nella poesia concreta, venga destrutturata visivamente, comporta che lì il leggere (quel poco che c’è) sia del tutto funzionale a un guardare che è molto più determinante. In altre parole, le poesie concrete sono immagini fatte con parole, o pezzi di parole.
Quando io parlo di “sistema di scrittura” non mi riferisco necessariamente alla parola: si legge la musica (scritta) e si legge una formula matematica; si legge anche un diagramma. In tutti questi casi c’è una componente sequenziale e una dose di convenzionalità che nel guardare sono assenti o minori.
Così è per il fumetto, anche se certamente al livello delle singole vignette si guarda, e l’eventuale lettura dei testi verbali (balloon e didascalie) è funzionale alla comprensione visiva dell’immagine, cioè al guardare.
Insomma: che i fumetti si leggano non ha niente a che fare col fatto che contengano parole. Ha invece molto a che fare sia con la loro sequenzialità che con il livello di codifica degli elementi in gioco.
Dire che i fumetti si guardano (nel loro complesso) è secondo me fuorviante. Li fa sembrare dipinti o illustrazioni.
Scusate se mi intrometto nella vostra stimolante discussione, ma mi chiedevo: la ricostruzione (fedele o meno) della realtà all’interno di una vignetta, sotto forma di grafismi, linee e campi neri (quindi parliamo dell’aspetto visivo) non dovrebbero essere “letti” tanto come le parole? Graficamente, una vignetta non ha bisogno di essere appunto interpretata dall’occhio e dalla mente per entrare nel meccanismo della narrazione? Questo, più che un semplice “guardare”, in effetti, non si avvicina di più ad una attenta lettura?
Chiedo, eh.
@Luigi
La differenza tra leggere e guardare non è una differenza di attenzione. Si può guardare con estrema attenzione, come spesso facciamo.
La differenza fondamentale sta tra presenza e assenza di un ordinamento sequenziale dominante, e – direi in subordine – tra maggiore e minore presenza di elementi visivi fortemente codificati (ma qui si entra in un campo spinoso).
In un certo senso, anche nella lettura del testo verbale, guardiamo le singole parole, ma il processo è così automatico e codificato che tutta l’attenzione è, giustamente, sulla sequenza, e dunque sul leggere. La vignetta, come ho detto anche sopra, è invece un oggetto visivo complesso, che richiede un guardare tutt’altro che automatico.
Per questo forse – per rispondere all’obiezione mossami da qualcuno che non sa leggere quello che scrivono gli altri e prende facilmente e offensivamente fischi per fiaschi – i processi neuronali messi in atto quando abbiamo tra le mani un fumetto sono quelli che riguardano il cervello visivo. Si parte comunque da un guardare – ma il fumetto non è la pittura, direi.
Se posso aggiungere, io credo che il termine “leggere” colga bene un aspetto fondamentale del fumetto: lo sguardo del lettore è sempre imbrigliato dentro una traiettoria visiva.
Questa traiettoria, sì certo può appoggiarsi a meccanismi di percezioni dell’occhio, ma è soprattutto un fatto codificato culturalmente.
Leggiamo da sinistra a destra, perché così siamo abituati a fare. C’è poco di naturale e di automatico e molto di costruito (di “neuronale” non so, non me intendo).
Tant’è che per anni, gli appassionati di manga hanno rivendicato la necessità, per comprendere fino in fondo le opere giapponesi, di rispettare i formati di lettura originali del Sol Levante. Formati che derivano, appunto, da traiettorie di lettura diverse da quelli cui siamo abituati.
E qui tutto si ricollega al fondamentale concetto ritmico di Daniele: la lettura di un fumetto è un fatto sequenziale, come la fruizione di un film o la lettura di un’opera letteraria.
Le emozioni del fumetto passano per un percorso organizzato, dove certo il lettore è libero di spaziare con l’occhio da una vignetta all’altra, da una pagina all’altra, ma non di vagabondare senza meta, che ne so partendo dalla vignetta 5, saltando poi alla vignetta 35, etc..
Direi che non avrei saputo dirlo meglio.
🙂
invece no. cioè, offensivamente può anche darsi, ma non credo di aver preso fischi per fiaschi. La conclusione che traggo da quanto lei scrive ogni volta è che per lei il fumetto è, alla fin fine, una sovrastruttura letteraria. Per questo sostiene, come tutti, che il fumetto, alla fin fine, fatti tutti i distinguo del caso, è una roba sequenziale che si legge come un romanzo.
Io sono convinto che il fumetto sia altro. E che non lo si fruisca attraverso la lettura comunemente intesa. Per un motivo molto semplice.
L’elaborazione del testo scritto (la lettura cioè) comincia sì con il guardare. L’occhio identifica i dettagli delle lettere e poi delle parole, a gruppi di due di solito. Il nostro sistema visivo ne estrae il contenuto (grafemi e sillabe) e lo converte per via fonologica in suoni. in quella parte del cervello, non me lo ricordo non mi chieda come si chiama, deputata alla decifrazione dei suoni brevi i segni della scrittura vengono tradotti in significati.
Questo per la lettura tradizionale.
Ora. Quando guardiamo un fumetto il processo neuronale è un po’ diverso. La parte che traduce i segni in significati non è quella del riconoscimento dei suoni. Piuttosto la parte visiva deputata al riconoscimento degli oggetti. Forse anche per questo tanti ottimi lettori fanno fatica ad apprezzare i fumetti.
Poi lei è liberissimo di continuare a leggerli, i fumetti. Io di guardarli.
Se il fumetto non è pittura, direi, ancor meno è letteratura.
Non so. Mi sembra di aver dato tutto il risalto possibile, sia nel post che nei commenti, alla componente di base del guardare, che è quella che viene registrata presumibilmente dall’attivazione delle aree cerebrali. Il punto non è quello. Il leggere è quello che succede dopo – che invece non succede con le immagini singole, tipo dipinti o illustrazioni – attraverso cui si arriva alla comprensione del senso complessivo.
Quanto al ritenere che il fumetto non sia che un “sovrastruttura letteraria”, non lo penso, non l’ho mai scritto, e non capisco da dove lei ricavi questa convinzione. A meno di non scambiare fischi per fiaschi, appunto.
Capisco. Resto convinto, come mi insegnano le neuroscienze, che il guardare come il leggere non sia ciò che succede prima o dopo ma sia ciò che succede durante. E a mio avviso questo durante comporta differenze di carattere ontologico negli oggetti soggetti alla guradata o alla lettura.
Per i fiaschi. Si ne prendo molti. L’ultimo, mi sento pure di consigliarglielo: un chianti vernaiolo del 2005 (85% sangiovese 15% merlot). Anche i fischi ne prendo tanti. Forse è per quello che non suono e non canto più.
Per quel che riguarda la “sovrastruttura” invece capisco che la irriti sentirsi imputare terminologia marxista.
Mi perdoni. E’ vero. Lei non l’ha mai detto nè scritto. Ha detto e scritto addirittura che il fumetto è Letteratura. (più volte, in quel libretto per Carocci). Ho preso fischi e fiaschi anche leggendo quello?
Temo di sì. Sarebbe bastato leggerlo con un poco più di attenzione per accorgersi che l’espressione “letteratura a fumetti” fa semplicemente riferimento all’esistenza di un corpus registrato su carta, e che la “letterarietà” non ha niente a che fare con questo – a meno che la “letteratura musicale” non sia a sua volta un genere letterario. Pratt la chiamava “letteratura disegnata”, che a mio parere è semplicemente un po’ troppo ampio, e comprende anche cose che fumetti non sono – però nella sostanza, per come la intendeva lui, è la stessa cosa.
Quanto alle differenze di carattere ontologico (io direi, semmai, gnoseologico, se non vogliamo porre che il linguaggio sia stato creato da Dio) mi sembra di averle sottolineate non poco, dicendo che le vignette si guardano. Temo che le neuroscienze non abbiano raggiunto il grado di sottigliezza necessaria per discriminare neurofisiologicamente questo livello di complessità: il “durante” ha comunque un suo prima e un suo dopo; i nostri processi mentali non sono istantanei.
Però lei è davvero fortunato ad avere tante certezze!
Due appunti in velocità:
rimango della convinzione che il solo enunciare “i fumetti si guardano e non si leggono” muova sempre delle riflessioni interessanti, tipo questa discussione per esempio, che aiutano ad isolare cosa rende un fumetto tale e cosa no.
Ci sono cose nei vari commenti su cui non sono d’accordo ma non mi sembra il caso di fare una guerra di religione su questi argomenti: dico solo che sulla “traiettoria” di lettura non è che sia molto convinto. I giapponesi “guardano”, non solo “leggono”, da destra verso sinistra. Ed il fumetto è capace, e basta sfogliare un Devil di Bendis per dire, di invertire molto naturalmente la normale rotta sinistra/destra del nostro comune senso di lettura, indicando traiettorie diverse allo sguardo attraverso il segno e la disposizione delle vignette sulla tavola.
Sul fatto che “leggere” e “guardare” si distinguano in quanto il leggere si connota tale per indicare quando avviene la scansione di una sequenza… bah! Io “guardo” una sequenza di fotografie, come “guardo” uno storyboard, come “guardo” un portfolio di un giovane autore che me lo sottopone, nel caso.
Comunque a giocare con le parole siam bravi tutti e potremmo rovesciare esempi all’infinito: rimane il fatto che se mi trovo a fare una lezione di fumetto e dico ai miei studenti “leggete” fumetti son bravi tutti, se dico “guardate” i fumetti la cosa acquisisce un senso diverso e, secondo me, più “analitico”.
“Letteratura disegnata” e “romanzo a fumetti” non riesco a vederli che come termini merceologici, per cui al di là del bene e del male. Se servono per vendere si usino pure, ma da lì a teorizzare una eventuale subalternità del fumetto nei confronti della letteratura ce ne passa.
Saluti!
c.
Questa cosa del “guardare” i fumetti a scopo didattico mi piace, perché invita a utilizzare una modalità diversa da quella solita, e questo permette di scoprire quello che altrimenti di solito non scopriamo. Mi piace perché pone l’accento su una componente spesso trascurata.
Forse dovremmo dire che sarebbe opportuno guardare di più i fumetti invece che semplicemente leggerli. Questo lo condivido, anche perché è quello che faccio io ogni volta che provo ad analizzare un qualsiasi testo a fumetti.
Gli esempi della sequenza di foto e del portfolio invece non mi sembrano validi: certo che li si guarda, ma non sono sequenze narrative o discorsive; sono semplici immagini messe in sequenza.
Più intrigante lo storyboard. Non sono convinto che lo si guardi davvero, a meno che il suo senso non sia semplicemente quello di illustrare delle scene. E allora, in questo senso, di nuovo anche lo storyboard non è una storia ma una semplice sequenza di immagini di lavoro.
Però, va bene: a guardare i fumetti si capiscono delle cose che la semplice lettura non rende. Ma d’altra parte gli effetti di ritmo si colgono solo leggendo, e leggendo con la stessa attenzione con cui sarebbe opportuno guardarli, i fumetti.
@ Claudio (nuvoleonline)
Siamo d’accordo che il fumetto può produrre anche traiettorie diverse da quelle suggerite dal senso di lettura. Nessuno l’ha mai negato. Il discorso che si faceva era diverso: il fumetto è – per dirla con Eisner – un’arte sequenziale che ha “scelto” di appoggiarsi alle pratiche della letteratura.
Questa è la sua storia, come linguaggio e come medium. E per un Bendis che sperimenta oggi soluzioni diverse, fanno da contraltare i milioni di tavole e strisce, prodotti da migliaia da autori, in cento anni di vita dei comics, impostando classicamente così i racconti: da sinistra verso destra (colpi di scena compresi in chiusura di tavola…).
Dire che il fumetto “si legge” sequenzialmente, non significa subordinarlo culturalmente alla letteratura. Così come riconoscere che la grammatica dei campi e dei piani del fumetto deriva dalla fotografia e dal cinema, non significa dire che i comics sono inferiori al cinema o alla fotografia.
Si tratta solo di capire meglio come funzionano certe dinamiche culturali o, almeno di provarci.
@Marco D
il fumetto è – per dirla con Eisner – un’arte sequenziale che ha “scelto” di appoggiarsi alle pratiche della letteratura.
Mi sfugge la fonte della citazione di quanto scrivi. Piuttosto Will Eisner si è, legittimamente, speso il termine “graphic novel” per farsi pubblicare quattro racconti in forma libro da un editore generalista.
Così come riconoscere che la grammatica dei campi e dei piani del fumetto deriva dalla fotografia e dal cinema, non significa dire che i comics sono inferiori al cinema o alla fotografia.
Anche questa mi sembra una storia tutta da scrivere. Se pensiamo che un grande autore come Winsor McCay è tra gli inventori del cartone animato, a vedere chi ha ispirato cosa finiamo alla solita storia dell’uovo e la gallina.
Si tratta solo di capire meglio come funzionano certe dinamiche culturali o, almeno di provarci.
A me sembra di provarci, senza verità precostituite in tasca, però.
@Daniele (ma anche un po’ Marco D)
Ma d’altra parte gli effetti di ritmo si colgono solo leggendo, e leggendo con la stessa attenzione con cui sarebbe opportuno guardarli, i fumetti.
Guarda, io potenzialmente sono pure d’accordo (sul ritmo). Ma cosa pensi di quanto si è discusso qui?
Pratt come lo leggi lo leggi funziona sempre. Ed anche l’Eternauta è vero che ha funzionato anche col rimontaggio Eura. Come questo incide su quello che dici sul ritmo nei fumetti? Questa è una curiosità, su cui io non mi sono ancora dato risposte definite.
Baci,
c.
ciao daniele
mi chiedo quanto siano di contenuto e quanto di carattere le differenze tra te e boris battaglia…
cmq ho assegnato il prestigiosissimo premio dardos ad entrambi… 🙂
unedì pubblico le motivazioni sul mio blog. e qui si spiega cosa e come http://sonoioche.blogspot.com/2010/07/un-dardos-per-me.html
ciao e “vediamoci” alla prima occasione…
mic!
@ Claudio
il riferimento a Eisner valeva per la prima parte della definizione:”arte sequenziale”, ovvero:
“Sequential Art” is a more accurate description of the form. I first suggested it because I believed something needed to be done to correct the feeling of inferiority by artists and writers in this field. (Will Eisner)
Il resto della frase, invece, è frutto del mio modesto pensiero 🙂
Quanto alle parentele con il cinema e la fotografia, anche lì, in effetti, sono andato giù “con l’accetta” e magari andrebbe fatto un discorso più articolato, utilizzando termini più appropriati.
Detto questo la sostanza del discorso rimane: stabilire parentele (e debiti) linguistici del fumetto con altri medium, non significa “degradare” il fumetto rispetto alle altre forme d’espressione. Per cui si può parlare di letteratura disegnata (termine che peraltro, non mi entusiasma) senza stabilire gerarchie culturali.
In ultimo, qualcosa sul rimontaggio delle tavole in rapporto al ritmo. Non sono assolutamente d’accordo che “Pratt come lo leggi lo leggi”… O almeno può valere per certi fumetti e non per altri.
Esempio banale di cui mi sono occupato: il Mickey Mouse di Gottfredson, recentemente riprosto anche esso in “lussuosa edizione” RCS.
Se guardiamo ai rimontaggi delle tavole negli anni Cinquanta nel formato tascabile Topolino (a 6 vignette per pagina), vediamo che molti “effetti di senso” dell’originale ritmo della strip si perdono.
Magari ne subentrano di nuovi. Ma, certo, non si può dire che sia sempre la stessa cosa.
Vale per Topolino/Gottfredson ma vale per decine di altri casi: il formato della tavola non è neutro, dal momento in cui diventa lo spazio espressivo in cui si dispiega il racconto.
Certo “la ballata del mare salato” resta una storia meravigliosa anche se la rimonti nel formato tascabile alla Diabolik (!!!) ma questo è un altro discorso, se permetti.
@ Claudio
Avevo evitato intenzionalmente di entrare nella polemica sul rimontaggio, anche perché, in fin dei conti, quello che penso io l’avevo già detto, pur se su una questione leggermente diversa.
Comunque le conclusioni che esprimo lì, adattate al ritmo piuttosto che all’inchiostrazione, valgono allo stesso modo.
Ciao