Ieri e oggi abbiamo ruotato intorno a Choriò (o Chora, si trova scritto in ambedue i modi). Dopo una giornata pigra, abbiamo preso il motorino e nel tardo pomeriggio, calato il caldo, siamo andati ad Argo, sopra Chora. L’idea era quella di salire con la moto sino a un passo, da cui dovrebbe iniziare un sentiero che scende a una baia lì sotto, dove c’è un porticciolo e un monastero.
Di fatto, la strada non era percorribile con la moto, e quando siamo arrivati in cima, a piedi, io ero già esaurito. Inoltre, il sentiero per scendere non si trovava, e quando abbiamo finalmente capito qual era incominciava a essere tardi per scendere (e poi risalire). Però da là sopra c’era un panorama magnifico: verso sud Kos, e l’isolotto di Nera, verso est le prime Cicladi, sino ad Amorgos; e poi rocce tutt’attorno.
Siamo tornati giù e siamo scesi con la moto alle spiagge sotto Panormos, alla ricerca di un locale che ci avevano segnalato. Ma solo dopo parecchie ricerche abbiamo scoperto che non esiste più. Cena casalinga, quindi.
Il programma per oggi era di ascendere sino a Profitis Ilias, la chiesina che in quest’isola come in tutte le isole greche marca il punto più in alto, la vetta maggiore. Ma io sono in un momento down, e ho lasciato Daniela salire da sola. Sono tornato alle spiaggette della sera prima e ho letto il mio libro (terminato Vannini, ora è la volta di un antropologo, Roy Rappaport, Ritual and Religion in the Making of Umanity: ne parleremo). Era ancora tutto chiuso (ci eravamo svegliati alle sei, e al mio arrivo non erano nemmeno le otto), e mi sono seduto a un tavolino qualsiasi, nel silenzio e nel vuoto.
Solo più tardi ho potuto bere un caffè, poco prima di andare a riprendere Daniela, intanto ridiscesa dall’altro lato. Insieme siamo andati a una spiaggetta rivolta a est, e abbiamo poltrito e mangiato lì.
Insomma, vacanza…
“un tavolino qualsiasi, nel silenzio e nel vuoto” – un bel sogno…
Buffo. Proprio ora che leggo il tuo commento sto bevendo il “tè greco” (vedi qui)