Rileggendomi le riduzioni shakespeariane di De Luca, mi è venuto da fare un paragone. Come tutti i paragoni, anche questo regge sino a un certo punto; tuttavia, almeno sino a quel punto aiuta a capire qualcosa, a cogliere qualche idea, che poi andrà sviluppata per conto proprio, anche al di là del paragone stesso.
Il paragone è quello col melodramma, ovvero con la riduzione per musica che si fa, ed è più volte stata fatta, da un dramma teatrale per il teatro di prosa a un dramma per musica. Pensate, tanto per restare in tema shakespeariano, all’Otello, e alla sua riduzione verdiana, per esempio.
Che cosa si fa, quando si trasforma un dramma per renderlo adatto alla musica? Prima di tutto si taglia, si taglia moltissimo; e poi si riscrive, affinché le parole siano più adatte al nuovo contesto. Quello che deve restare è una versione essenziale della storia originale, sufficientemente riconoscibile nella sua concisione. Certo, il libretto perde moltissimo dei contenuti della versione originale; ma il libretto non è un testo definitivo, bensì un semplice supporto per un’opera che sarà prima di tutto un’opera musicale. Quello che si perde in termini di azione e dialoghi viene recuperato in termini musicali, se il musicista è sufficientemente bravo. E così, ci sono splendidi melodrammi tratti da drammi mediocri, così come mediocri melodrammi tratti da drammi splendidi, ma anche mediocrità da ambo i lati, oppure capolavori, come nel caso dei due Otello.
Nel caso delle riduzioni shakespeariane di De Luca….
Prosegue su Conversazioni sul Fumetto.
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