Nel leggere Mister Wonderful, ultimissima uscita di Daniel Clowes per Coconino (trad. Elena Fattoretto), ho provato una ricorrente sensazione di deja vu. Era come se, continuamente, quella scena lì, quelle vignette lì, mi fossero già state davanti agli occhi. Ho anche pensato che si trattasse della ristampa di qualcosa di già uscito, oppure che era magari un libro di qualche anno fa, inedito in Italia, che avevo già letto in lingua originale. Poi ho verificato: l’edizione americana è del 2011; in Italia era inedito. Non l’avevo letto.
Non so se di Clowes ho letto davvero tutto. Certo ne ho letto tanto, e continuo a pensare che sia tra i migliori autori sulla piazza. Ma in Mister Wonderful, evidentemente, c’è troppo di quello che Clowes ha già fatto; e non si esce dai binari di tante storie precedenti. Un’opera di routine, insomma, scritta un po’ con la mano sinistra, lavorando con una materia sin troppo ben conosciuta dal suo autore.
Intendiamoci: se non avete letto troppe storie di Clowes, questa è comunque un’opera godibile. Vi si racconta del primo appuntamento tra un uomo e una donna un po’ segnati dalla loro vita sentimentale precedente. La focalizzazione è interamente dal lato di lui, di cui seguiamo i pensieri – a volta così forti e invadenti da coprire addirittura le parole che lui stesso sta dicendo, o che sta dicendo lei. E l’espediente è interessante. Ma che Clowes sappia raccontare è fuori discussione, e lo è anche che sia un maestro nel delineare psicologicamente nonché nel disegnare graficamente i suoi personaggi e la loro interazione.
Insomma, benché sia un lavoro minore, è comunque un lavoro di uno dei migliori autori di fumetti al mondo.
Tuttavia, se avete già letto tante storie di Daniel Clowes, non riuscirete a evitare la sensazione di avere già percorso quello che avete sotto gli occhi, e magari più di una volta; e magari le altre volte, pur riconoscendo (inevitabilmente) lo stile di Clowes, avevate semplicemente apprezzato e goduto le situazioni, provando pena o partecipazione per i personaggi in gioco, e per le loro incapacità – che sono spesso anche quelle di (quasi) tutti…
Stavolta, certo, si potrebbe anche sostenere che questo racconto un po’ squallidino sia adeguato a raccontare l’incontro tra questi due personaggi che sono pure loro un po’ squallidini. Del resto, ciò che ha di straordinario Clowes è, in generale, proprio il saper tirar fuori dei racconti davvero affascinanti da personaggi e situazioni che, di per sé, non lo sono affatto, giocando tra compartecipazione emotiva e distacco ironico, o addirittura sarcastico.
Anche qui ci sono compartecipazione emotiva e distacco ironico, però a quanto pare non bastano, e appaiono un poco, pure loro, come quelli di sempre. Questa volta, a baciare il ranocchio, il principe non è saltato fuori – e, con tutte le qualità del suo autore, la storia non ha preso il volo.
Oppure forse sarò io, come ho già avuto occasione di dire altrove, che comincio a essere stanco di graphic novel psicologistiche e centrate su un io un po’ problematico e un po’ squallidino. Con Daniel Clowes non mi era ancora successo. Magari è solo la mia malattia che sta peggiorando…
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