Così morde il serpente
Il Sole 24 Ore, 18 ottobre 1998
A raccontarla, la trama può sembrare una delle tante storie poliziesche: una donna poliziotto a New York cerca il fratello scomparso, perché coinvolto nel traffico di droga. Per liberarlo arriva sino in Cile.
Ma quando si inizia a leggere Il morso del serpente, i disegni di José Muñoz iniziano dalla primissima vignetta a tagliar fuori i luoghi comuni, impostando un ritmo narrativo secco, fatto di brevissimi flash e improvvise pause meditative. Poi, nel giro di poche pagine, anche la sceneggiatura di Jerome Charyn incomincia a catturare il lettore, e sulle mille situazioni già note di una trama di questo genere si innestano personaggi inconsueti, piccole imprevedibili variazioni sul tema – così che persino una conclusione scontata per questo genere di storia finisce per assumere un sapore che di scontato non ha proprio nulla.
Con tutti i meriti dello scrittore Charyn (non nuovo, peraltro alla sceneggiatura del fumetto), la felicità di questo racconto è però in larga misura dovuta alla china di Muñoz. Non si tratta solo della qualità del segno grafico, personale e inimitabile, ma anche della capacità di tagliare il tempo in una maniera che evoca il cinema senza imitarlo affatto. Muñoz sfrutta, del fumetto, persino la sua assenza di sonoro: le grida e i colpi di aria da fuoco, per esempio, vengono mostrati senza alcun effetto di rumore, appaiono distanti anche se sono vicini, e il loro tempo si dilata proprio nel momento in cui l’azione concitata farebbe aspettare un’accelerazione.
Il ribaltamento temporale coincide con quello emotivo. Parte del fascino di questa storia sta proprio nel fatto che le emozioni che i personaggi esprimono sono assai diverse da quelle che il genere lascerebbe ipotizzare, e la stessa protagonista si trova a combattere una battaglia che non appare affatto così come essa stessa si aspettava che fosse.
Tutto è diverso, insomma, da quello che appare. Miss America del Nord non è una ragazzina con patetiche mire hollywoodiane, ma un sergente di polizia, che torna a casa da solo dopo la premiazione. La violenza, quando c’è, non è una serie di barocche evoluzioni, ma un attimo secco, un lampo di luce o di ombra. La salvezza appare un atto dovuto, o una condanna, o un evento del tutto inutile e scontato, o una concessione…
Era da tempo che ci si aspettava un nuovo volume di Muñoz, dopo che da qualche anno uscivano solo ristampe, per quanto graditissime. Con questo Morso del serpente speriamo che si inauguri una nuova stagione; e non soltanto in Francia, dove – come troppo spesso accade – le storie di Muñoz trovano generalmente un pubblico assai più attento che da noi.
Jerome Charin, José Muñoz
Il morso del serpente
Hazard Edizioni, Milano, 1998
96 pagg., £. 20.000
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