Diciamo pure che quando vedo le vignette di Walt Kelly io mi commuovo. Non so bene perché. Sarà forse l’intelligenza e la raffinatezza dei dialoghi e delle battute, insieme con la tenerezza dei personaggi, e questa ugualmente tenera presa in giro di tutti loro. Pogo mi appare certe volte come l’apice insuperabile di quel tipo di fumetto che fa uso di pupazzi animali antropomorfizzati, e che doveva essere teoricamente per bambini. Un po’ come Krazy Kat, ma anche meglio.
Alla fin fine, in effetti, lo preferisco a Krazy Kat, magari di poco. E forse il punto è che di Herriman non mi prende più di tanto il disegno (che, per la sua epoca, è abbastanza standard – mentre è tutt’altro che standard quello che poi ci fa, con quel disegno lì), mentre il disegno di Kelly mi tocca il cuore.
Forse, guardando da vicino questo originale conservato presso il Fondo Enrico Gregotti, qualche intuizione la potremmo anche avere. Osserviamo allora da vicino (ingrandire in altra scheda, please) il viso di Churchy LaFemme, la tartaruga. È come se scrutassimo nelle interiora di Pogo. Vi si intravedono le tracce delle matite di Kelly, il cui segno è molto più insicuro. E poi ci sono quei pochissimi tratti di pennello che definiscono – con estrema sicurezza, invece – il profilo e l’occhio. Se ora torniamo a guardare la versione ridotta qui sopra, ci possiamo accorgere che gran parte dell’espressione di questo viso viene data dall’occhio, e in particolare dal riflesso banco che gli dà vita. Ma guardate, nella versione ingrandita, che forma strana che ha quel riflesso bianco!
E poi osserviamo la forma dei tratti di pennello, così fortemente modulati. È proprio questa linea che diventa molto rapidamente più spessa e più sottile a creare quelle rotondità che rendono teneri e infantili i personaggi (secondo la regola disneyana, a cui Kelly è notoriamente debitore). Persino il ridicolo cappellino di Churchy è disegnato secondo lo stesso principio.
La modulazione delle linee di inchiostro è dunque il punto di partenza del discorso di Kelly. Su questa base tenera e infantile, si può poi innestare – in armonico contrappunto – la realtà surreale della palude, e il quotidiano conte philosophique dei dialoghi.
ma che bella questa roba che posti.
io, che da sempre mi diletto a scarabocchiare fogli, provo una sorta di piacere masochistico a contemplare la perfezione di questi disegni, e a pensare quanto vada poi perso nella stampa definitiva.
pensa che, da vecchio lettore di tex, non avevo mai apprezzato particolarmente un disegnatore come fabio civitelli, finché non ho visto i suoi originali e mi sono perso nell’infinita quantità di raffinatissimi dettagli che venivano poi annullati dalla stampa.
stesso discorso per certi originali delle prime strisce di galep, che stampate sembrano quasi rozze, ma viste nell’originale rivelano un’arte sopraffina.
Se mi posso permettere un ulteriore piccolo appunto “pro domo mea”, una scansione ingrandita dall’originale permette di vedere anche quello che a occhio nudo, direttamente dall’originale, di solito sfugge – a meno che, come non succede quasi mai, non siamo dotati di una forte lente e di un bel po’ di tempo a disposizione.
Certo, manca il brivido feticistico della presenza…
perché ogni volta che parli del Fondo Gregotti ho la sensazione di sentire Zio Paperone che mi racconta dei suoi bagni ristoratori tra le monete del Deposito? 😉