Piccole corone di spine (Nota critica a A un’ora di sonno da qui)
Come in una sorta di misticismo laico, le poesie di Franca Mancinelli trasfigurano il quotidiano nel tentativo di cogliere una qualche pienezza dell’impatto del vissuto. Forse la stanza cui ha fatto riferimento Milo De Angelis presentando una sua raccolta, dall’interno della quale l’autrice percepirebbe il mondo attorno, non è che una straniata, fuori fuoco, messa in scena dell’io, anch’esso comunque qui trasfigurato al medesimo modo.
Metafore, similitudini, correlativi oggettivi, pur apparendo certo differenti sulla superficie del discorso, manifestano in realtà una natura profonda comune. Essi tendono infatti ugualmente, con maggiore o minore forza, a mettere in dubbio l’organizzazione del mondo per cose tra loro distinte, per proprietà tra loro distinte, per azioni tra loro distinte, cui corrispondono, nel linguaggio, le rispettive parole: nomi, verbi, aggettivi. Questa organizzazione del mondo ci è necessaria per sopravvivere, e si è dimostrata nel tempo efficace, pragmaticamente vincente, non meno di quanto lo sia l’illusione dell’io, l’illusione della coscienza. Nondimeno la poesia esiste anche per ricordarci che non si tratta della realtà, ma solo di un espediente efficace per tenerle testa; e che c’è molto di più, sia nel linguaggio che nel mondo, di quello che la comunicazione quotidiana sembra permetterci di pensare. Le relazioni tra le cose, e quelle tra le parole sono assai più sottili e complesse di quello che la razionalità della nostra stabile concezione del mondo ci autorizza ad accettare. Come dire che tanto il linguaggio quanto il mondo possiedono un inconscio che la parola standard non conosce.
Molto tempo prima che esistessero le religioni come le intendiamo oggi, il misticismo era il tentativo di oltrepassare la barriera razionale del linguaggio, alla ricerca di una totalità che le parole e la normale immagine del mondo non permettevano di raggiungere. Si trattava di un tentativo destinato a fallire: nessuna totalità può essere davvero colta da una finitudine come quella umana. Nondimeno si trattava di un tentativo fertile, perché metteva in discussione quello che sembrava assodato e assestato: il mondo, l’io, e magari, da un certo punto in poi, persino Dio.
Non c’è bisogno di andare lontano per incontrare questo straniamento. Da un io deragliato, da una stanza poco messa a fuoco, il mondo può apparire come un reticolo di relazioni inaspettate tra le cose, gli eventi, le proprietà, i quali, pur essendo quello che sono, sono di colpo anche tutt’altro, e ci aprono la vista su panorami insospettabili del senso, e quindi del mondo.
Gli animali che migrano in noi, le formiche del sangue fermo, o al posto delle ciglia, magari rosse e velenose, la biscia, la lucertola, gli uccelli che insegnano alla voce, gli insetti costanti, le bestie buone sono altrettanti animali e insieme altrettante immagini di un’interiorità che è sempre insieme esteriorità, di un raccoglimento che è sempre insieme dispersione. Non troverete verità confortanti nelle poesie di Franca Mancinelli, ma solo suggestioni inquiete, piccole corone di spine, frammenti di corpo insieme a frammenti di mondo.
In verità anche il sacro, questa pienezza terribile che il mistico cerca a costo della ragione e magari della vita (e la Chiesa, a suo tempo, parecchi ne ha bruciati come eretici, da Margherita Porete a Giordano Bruno), anche il sacro non appare qui che spezzato, frammentato, percepibile solo per brevi folgorazioni. Se qualcosa la ragione stessa ci ha insegnato è a non prendere fino in fondo sul serio né lei stessa né le sue negazioni. Questo forse distingue la modernità dalle epoche che l’hanno preceduta.
Intuizioni e frammenti, dunque. E le parole come cose che costruiscono un mondo, fatto di suoni e di linee di scrittura, non meno che dell’universo di senso che emerge da quei suoni e da quelle linee. Echi di suoni, echi di andamenti ritmici, echi di forme del mondo rimandate da quei suoni e da quei ritmi: non c’è realtà senza ricorrenze. Questo lo sa anche la parola quotidiana, come lo sa la prosa del mondo, pure se fingono di ignorarlo. La poesia, come la musica, mette a nudo l’illusione, e ci rilancia nel ritorno delle cose, dei suoni, delle relazioni.
Nel mondo che gira attorno alla stanza di Franca Mancinelli le cose trovano un posto imprevisto, eppure familiare, come le nostre vene, il cui profilo ci è così bene noto quando affiorano alla pelle, ma per il resto…
L’originale si trova qui.
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