Le parole che seguono sono state scritte poco fa come commento a un articolo di Andrea Inglese pubblicato su Nazione Indiana, “Paesaggio e convenzioni figurative nella poesia italiana contemporanea”. Dopo aver inviato il commento, mi sono reso conto che la questione che affronta è in realtà più vasta dell’occasione per cui è – di getto – stato scritto, e ho deciso di pubblicarlo, come post autonomo, anche qui.
Il saggio, come sempre quando Inglese scrive, è acuto e pieno di spunti. Non posso che condividere l’idea del testo come paesaggio, visto che io stesso l’avevo buttata lì in un post del 2010. Tuttavia, di fronte ai testi di Giovenale e Broggi, continuo a sentire una sorta di perplessità, di cui provo a spiegarmi il motivo in questo modo.
Sembra che questi testi testimonino l’impossibilità, in un mondo tardo-capitalistico, in cui la stessa parola è divenuta merce, di dire qualcosa che non sia l’impossibilità stessa di un rapporto sentimentale con il paesaggio. Quello che sarebbe rimasto possibile in questo contesto non sarebbe dunque il rapporto con il paesaggio, bensì quello con il film pubblicitario sul paesaggio. Di conseguenza, quello che la poesia può fare non sarebbe che “essere un prezioso strumento di rilevazione della realtà, ma in “negativo”, mostrando l’inadeguatezza dei nostri discorsi e delle nostre narrazioni e tenendo vivi la nostalgia e il desiderio di reale”. Insomma, l’unica possibilità sincera della poesia starebbe nel negativo, nel tener viva la nostalgia del reale. Il che mi ricorda molto le parole di Adorno a chiusura del saggio su Schoenberg nella “Filosofia della musica moderna”, e in generale il lamento di Adorno per l’impossibilità, oggi, di un’arte innocente, ovvero inconsapevole della corruzione (capitalistica) dell’immagine stessa del mondo (e del paesaggio).
Il mio disagio, di fronte ai testi di Giovenale e Broggi qui citati, è dovuto probabilmente alla sensazione che essi mi mettano di fronte all’ineluttabilità e generalità di questa sola possibile negatività dell’approccio poetico, come se l’approccio diretto al paesaggio fosse davvero ormai reso impossibile dal dominio del film pubblicitario (e di tutto ciò che esso sta a simboleggiare). Come se l’emozione e il sentimento di fronte al paesaggio fossero ormai possibili solo come “nostalgia”, perché l’emozione autentica è negata, comunque, dalla mediazione ideologica dell’apparato mediatico e delle sue capillari conseguenze.
Ora, io non credo che sia così. Né ho mai ben tollerato la heideggeriana nozione di “autenticità”, fatta propria e utilizzata da Adorno. Ci sta, nella mia intolleranza, la consapevolezza del fatto che, per parlare di autenticità perduta, è necessario avere un’idea dell’autenticità posseduta; ovvero ipotizzare un’età dell’oro in cui l’arte poteva essere innocente, mentre ora non lo è più. L’idea che l’accesso diretto al paesaggio che si poteva avere ieri, oggi è reso impossibile dal fatto che esso è inevitabilmente negato dal film pubblicitario, mi fa credere che ieri esso non fosse negato, e che un’arte innocente fosse davvero possibile. E’ l’idea di una possibilità perduta (ma esistita) che giustifica la legittimità di un’arte come nostalgia del reale, in cui non sia possibile esprimere l’emozione del rapporto con il paesaggio se non nei termini della sua negazione.
A questa logica io mi sottraggo, non certo per difendere la mistificazione capitalistica, che c’è; ma perché essa non è che la forma moderna di una serie di mistificazioni che hanno sempre condizionato il rapporto con il paesaggio, plasmandolo epoca per epoca. Ritenere che la mistificazione specifica della nostra epoca sia l’unica o la più grande è a sua volta una mistificazione, perché ci induce a ritenerci alfieri di una verità altrimenti perduta.
La mia opinione è che la poesia non può ridursi alla nostalgia e al negativo che la può generare, perché una visione in qualche modo positiva del rapporto col paesaggio resta possibile oggi come in ogni tempo – purché consapevole della propria dimensione relativa e condizionata. Purché non ingenua insomma. L’arte di qualità non è mai stata innocente, e ha sempre posseduto una componente negativa, in grado di “tener viva la nostalgia e il desiderio di reale”; ma non si è nemmeno ridotta a soltanto questo.
esatto. e credo che resti tutto vero anche sostituendo ‘linguaggio’ a ‘paesaggio’ 😉
esatto. e credo che resti tutto vero anche sostituendo ‘linguaggio’ a ‘paesaggio’ 😉