Fumetto e funzione poetica
Roman Jakobson ebbe a dire, parlando della poesia, anzi della funzione poetica, che ”la funzione poetica proietta il principio d’equivalenza dall’asse della selezione all’asse della combinazione” (Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli 2002, p. 189). Che sarebbe come dire che, nella costruzione del linguaggio poetico l’equivalenza o la similarità tra gli elementi – parole o sintagmi che siano – possono prevalere sulle regole stesse della successione dettate dalle esigenze sintattiche e narrative. Per cui, ancora in Jakobson, “in poesia l’equazione serve a costruire la successione” (ibidem, p. 192). Per esempio, una parola può essere scelta più per esigenze di rima che per esigenze di chiarezza espositiva e questo può andare benissimo perché la chiarezza espositiva è al massimo un fine marginale della poesia, mentre molto più centrale è il tentativo di creare una rete di rimandi (fonetici, prosodici, semantici…) che si sovrapponga alla sequenza lineare del discorso narrativo o espositivo, sovradeterminandola, ovvero caricandola di ulteriore e ulteriore senso. Certo la condizione ideale è quella in cui la parola-rima viene scelta così magistralmente da apparire anche come la parola migliore per esprimere il senso – ma a volte anche l’evidenza di una leggera forzatura può aggiungere interessanti sfumature di senso.
Perché parlo di funzione poetica proprio qui? Guardate questa tavola dal Little Nemo di Winsor McCay:
oppure quest’altra (famosissima):
Non è difficile accorgersi che la forma complessiva della tavola non dipende soltanto dalle esigenze espressive della narrazione. Nella tavola del 1907, per esempio, la coincidenza di posizione e forma tra le colonne della seconda striscia e gli alberi della terza è narrativamente irrilevante; cioè, per quanto riguarda le esigenze di un’efficace narrazione, non ve ne sarebbe alcun bisogno. In quella, sopra, del 1906, c’è una prima striscia in cui dominano le orizzontali, una seconda le diagonali discendenti verso destra, e una terza in cui dominano le diagonali discendenti verso sinistra (linee prospettiche incluse): anche qui questa articolata costruzione non sarebbe necessaria all’efficacia del racconto…
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ciao Daniele, come stai? Proprio l’altro giorno, non so più con chi, è saltato fuori il tuo nome… Che bello, Little Nemo: lo leggevo con Menà, quand’era piccolino. I tuoi? …
Resta però da chiarire bene (o il fine è dato, immotivato, arbitrario, meramente convenzionale, soggettivo e quindi del tutto e infinitamente variabile) perché mai la funzione e il fine principale della poesia è tale perspicuità fonetico-mnemonica, quasi (ma assolutamente NON SOLO) prima ancora che semantica: qui si gioca tutta la partita, da sempre.
Bella domanda, forse troppo. Credo (e il “credo” è d’obbligo) che il motivo sia simile a quello per cui a un dipinto non si chiede solo di rappresentare fedelmente la realtà, al punto che spesso non glielo si chiede nemmeno più; nemmeno alla fotografia artistica si chiede solo di rappresentare fedelmente la realtà, anzi, quello è l’aspetto meno interessante. Fotografia e dipinto devono essere interessanti per quello che mostrano ancora prima che per quello che rappresentano. Analogamente (credo) la poesia deve essere interessante per quello che vi si ode e vede, ancora prima che per quello che vi si racconta. Non che i due aspetti possano essere indipendenti (né qui né là), ma nemmeno possono essere ridotti l’uno all’altro, come succede invece con la fotografia (o pittura) documentaria e con la scrittura che relaziona, casi in cui il significante viene assunto come del tutto trasparente, a vantaggio del significato.
“La poesia deve essere interessante per quello che vi si ode e vede, ancora prima che per quello che vi si racconta”: questa però non è una risposta, ma solo una riformulazione – sulla quale rilancio (riformulo) la domanda – ripeto, centrale: perché mai la poesia deve essere e far ciò (a che scopo, con che fine generale e non solo soggettivo-arbitrario etc)?
Anch’io parto da un credo, ma di segno opposto – cioè inteso in termini d’esperienza personale, oltre che studio quanto più ampio possibile: una ‘mia’ risposta, ma non solo mia appunto perché più approfondisco più ne trovo riscontri in tutte le epoche e ad ogni latitudine, parte dal respiro = scambio e nutrimento, che come tale è pure sacro, e sacrificio (micro-macro); alcuni link a dei post, il discorso pare enorme ma è elementare: ha a che fare con la trasmissione (orale, cioè quasi organica) del sapere vitale (anch’esso organico, cioè non nozioni ma piuttosto un essere)…
http://www.parrocchiadicaorso.it/parola-di-dio/alfabeto-ebraico.pdf
http://lapresenzadierato.com/2014/05/06/intervista-a-franco-fortini-il-poeta-italiano-risponde-alle-domande-su-poesia-e-musica/
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/693853754002054
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/693420680712028
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/742419829145446
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/730135117040584
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/625581804162583
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/728539550533474
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/707678999286196
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/717746454946117
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/752296564824439
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/713736875347075
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/708448225875940
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/742482982472464
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/648757628511667
https://www.facebook.com/notes/andrea-ponso/la-presupposizione-del-poetico-come-sua-rimozione/10153861820865029
Naturalmente la risposta ha a che fare con il ritmo (e lo stesso varrebbe per l’universo visivo che ho citato nell’altro commento), un tema su cui ho pubblicato diversi libri. E condivido l’idea che questa necessità abbia a che fare con un bisogno primordiale di trasmissione (orale ma non solo) di sapere vitale. Condivido pure l’idea che questo abbia a che fare con le tematiche del rito e del sacro (e del sublime, che è un sacro a-religioso, come ho scritto in diverse occasioni), che sono legate (anche) ad andamenti elementari, di origine biologica. Ma ci tengo a sottolineare quell’anche: né per la poesia né per le altre arti (né per il rito e il sacro) il discorso si può risolvere in questo. Semmai il punto potrebbe essere in una funzione di ponte tra esigenze elementari ed esigenze complesso o ipercomplesse; come dire, un permetterci di guardare alle origini senza perdere di vista il punto da cui osserviamo.
Un qui e ora attraversato in verticale (Mnemosyne è memoria, ma dell’eterno), per cui la storia è successione di forme nel tempo che però rinviano tutte sempre agli stessi archetipi fondamentali – l’origine in termini quindi non diacronici ma sincronici: la Creazione inizia in ogni istante, per cui la physis mostra un aspetto e nasconde tutti gli altri (quello che dicono i Veda, il Tao, la Bibbia, la stessa scienza attuale).
https://www.facebook.com/ulissefiolo1972/posts/753094108078018
Il che è ancora come dire che la poesia partecipa del sacro (o del sublime, a scelta, il che non è molto diverso). Io però non spingerei la cosa troppo in là. Intanto non tutta la poesia, anzi ben poca, arriva a questo – per cui dovremmo dire che è “tendenzialmente” così. E poi, non tutti i poeti sarebbero d’accordo, e quindi nella poesia entra moltissimo altro – per cui dovremmo dire che “tendenzialmente e parzialmente” è così.
Non si riduce un fenomeno complesso a una sua componente, per quanto importante sia.
🙂
“Poeti e sacerdoti erano in origine una cosa sola; soltanto le epoche posteriori li hanno separati. [Con gli effetti nefasti e ultimativi che ricordavo, n.d.r.] Il vero poeta però è sempre rimasto sacerdote come il vero sacerdote è rimasto poeta. E l’avvenire non dovrebbe forse ricostituire l’antico stato di cose?” (Novalis – Frammenti n° 1225)
E tuttavia, come dice Omero, “Molto mentono gli aedi”. (https://www.guardareleggere.net/wordpress/2014/08/25/sacro-e-poesia-cosi-parlo-nietzsche/)
vedasi anche Esiodo, in apertura della Teogonia:
Quelle che canto bello d’Esiodo ispirarono un giorno.
mentr’egli pasturava le greggi sul santo Elicona,
quelle medesime Dive narrarono a me ciò ch’io narro,
le Muse Olimpie, figlie di Giove, dell’ègida sire.
«Pastori avvezzi ai campi, gran bíndoli, pance e null‘altro.
favole molte sappiamo spacciar ch’ànno aspetto di vero;
ma poi, quando vogliamo, sappiamo narrare anche il vero».
Disser del sommo Giove cosí le veridiche Figlie;
e a me diedero un ramo di florido alloro stupendo,
ch’io ne tagliassi uno scettro, m’infusero in seno la voce
divina, ond’io potessi cantare il presente e il futuro…
(bellissime queste “veridiche figlie di Zeus”, che però poi, quando vogliono, mentono)
La menzogna di cui parla Omero è la finzione-fiction, costruzione anche teatrale (Pessoa: Il poeta è un fingitore; ma anche: Pagine esoteriche), poi tematizzata da Aristotele nella Poetica, dove dice che la poesia tratta l’universale (gli archetipi) e la storia invece solo i particolari (che cmq possono funzionare da metafore di quello): conosco bene quella pagina (e molte altre) di N. ma lui lo dice a favore della poesia (e contro i suoi contemporanei filosofi, che appunto non padroneggiano più verità ma sono ancora confusamente intrisi di ritmo ormai esteriorizzato – S. Weil dice che una mezza verità di tal tipo è più pericolosa della menzogna, perché appunto ha un carattere seduttivo che le viene da quella parte di verità che è il ritmo e che però s’è ormai ridotto a vezzo esornativo, e Guénon conferma, natualmente; vedi l’inattuale: Contro Wagner, dove lo condanna per l’anti-ritmo: se non fa batter il piede, non vale), tant’è che scrive lo Zarathustra – per imprimersi e trasmetter sovra-razionalemente, come già detto, ripetuto e confermato: da sempre; e non è per caso che inizia la sua critica alla civiltà dalla liturgia, ossia appunto rito-mito e facendo poi il paio con La filosofia nell’epoca tragica dei greci, in: La nascita della tragedia dallo spirito della musica, deve il centro è quello spirito della musica (non so se sto parlando con chi ne compone, cioè un musicista: il che darebbe la misura chiara di quel che dico, altrimenti non se ne ha la nozione reale cioè pratica), che Novalis (non l’ultimo arrivato) conferma pure lui quando dice: “Ciò che è vero e autentico sembra debba essere così e non possa essere diversamente. (Sua semplicità, ingenuità infantile, facilità, comodità, necessità, mancanza di importanza). La brama di originalità è un grossolano egoismo di eruditi. Chi non considera ogni pensiero altrui come suo e ogni pensiero proprio come fosse altrui, non è un vero scienziato.” – tenendo conto che in altro frammento dice: “Il poeta comprende la natura meglio che lo scienziato”.
Chiudo citando a conferma un autore di fumetti, visto che da lì s’è partiti, che ha a che fare pure con la letteratura, il cinema e persino il teatro:
“Ritengo che tutta la cultura sia nata dal culto: originariamente tutte le sfaccettature della nostra cultura, che fossero nelle arti o nelle scienze, erano di competenza dello sciamano. L’arte è, come la magia, la scienza della manipolazione dei simboli per ottenere dei mutamenti nella coscienza. E credo sia per questo che un artista sia, nel mondo contemporaneo, la cosa più vicina a uno sciamano. Il fatto che ai nostri giorni questo potere magico sia degenerato al livello di intrattenimento da quattro soldi e manipolazione penso sia una catastrofe. Attualmente, le persone che stanno abusando dello sciamanesimo e della magia per plasmare la nostra cultura sono i pubblicitari: invece di provare a destare la gente, il loro sciamanesimo è usato come oppiaceo per tranquillizzarla, per rendere la gente più manipolabile. La loro scatola magica, la televisione, con le loro parole magiche, i jingle, può far sì che tutti in un Paese pensino le stesse cose e abbiano tutti gli stessi pensieri banali tutti nello stesso momento.” (Alan Moore – da una video-intervista online https://www.youtube.com/watch?v=rZXoinYCReE)