Ieri l’altro giornata pigra. Però, a metà pomeriggio abbiamo preso il motorino e siamo saliti a un passo proprio al centro dell’isola, in alto sulla valle di Vathì, proprio sopra Platanos (qui, su Google Maps, si vede la curva in alto – al centro – dove abbiamo lasciato la moto e la forra per cui siamo scesi). Mappa alla mano, il programma era quello di scendere per un sentiero, fare un pezzetto della strada nella valle, e poi risalire prima del buio (per prudenza ci siamo portati le torce) per un altro sentiero.
Di fatto, dopo cinquecento metri del sentiero in alto, abbiamo trovato una serie di bivi, e, pensando di interpretare la mappa, abbiamo preso quello sbagliato e ci siamo persi. Niente di grave, in sé, ma abbiamo sprecato circa un’ora a girare tra i sassi, i cespuglietti spinosi e gli alberi bassi, prima di ritrovare il sentiero giusto; e anche lì, potendo scegliere tra due potenzialmente equivalenti, abbiamo scelto quello sbagliato, che all’inizio sembrava tenuto meglio, ma dopo un poco è risultato abbandonato, e spesso lo si perdeva facilmente.
Insomma, siamo arrivati giù con un grande ritardo. Inoltre, guardando la parete della montagna, non c’era traccia del sentiero per risalire. Così abbiamo fatto l’autostop, e, come spesso succede nelle isole greche, la prima macchina che è passata ci ha raccolto e portato su (non che ne passassero molte: dovremmo dire la prima e unica).
La valle di Vathì è molto bella, e Platanos ne è il paese centrale. E’ una valle agricola e incredibilmente verde, per un’isola arida come sono di solito queste del Dodecaneso. Ci siamo tornati la mattina dopo alle sette, con un altro giro in programma. Sempre da Platanos, ma dall’altro lato della valle, c’è un sentiero che sale a 400m e ridiscende a Pothià, la cittadina capoluogo. Anche lì non è stato facilissimo trovare l’inizio del sentiero, ma poi il giro è stato bello, fresco e panoramico.
A Pothià ci siamo fatti un frapé sul porto, e poi abbiamo fatto l’autostop per tornare di là. Ci ha raccolti, dopo poco, un signore anziano, che parlava un italiano recuperato dalla memoria dei tempi in cui l’aveva studiato a scuola, all’epoca della dominazione italiana. Il dominio italiano era finito nel ’43, e il nostro salvatore stradale aveva la bellezza di 89 anni. Di questi ne aveva passati ben 48 a Bordeaux, facendo il commerciante, e quindi parlava anche un ottimo francese. Insomma, tra una lingua e l’altra, ci siamo capiti bene.
Ci ha raccontato che il platano al centro del paese, e che gli dà il nome, Platanos, appunto, era stato piantato da suo padre nel 1902. Mi è sembrato per un attimo di vivere una saga familiare tipo Cent’anni di solitudine. Poi ha insistito a portarci sino al motorino, benché lui fosse già arrivato. Gentilissimo.
Siamo andati a pranzare a Vlichadia, un po’ deludente. Troppa gente, ma era pure domenica. Abbiamo dormito sulla spiaggia, sino alle 17, poi siamo saliti a visitare il monastero in alto sopra Pothià: veduta stupefacente, aria troppo libera e aperta per sentire davvero un’atmosfera monacale.
Ho proseguito le mie lettura sulla mistica speculativa. Ma mi sembra che Vannini si spinga troppo in là considerando la Fenomenologia dello spirito come il punto più alto della mistica occidentale. Riesce a vederci persino alcune convergenze con lo Zen: presumibilmente ci sono davvero, ma poi, quando elenca le divergenze, mi sembra che non a caso dimentichi quella fondamentale, ovvero il pesante accento che lo Zen (e il Buddhismo in generale) pone sulla prassi, e sull’impossibilità per la speculazione teorica di oltrepassare certi limiti. La prassi implica il corpo, e l’azione materiale, che è esattamente quello che viene lasciato fuori da tutti i mistici di Vannini, se non attraverso le conseguenze di quello che viene chiamato “amore”, parola ambigua più di qualsiasi altra, e che vive il proprio successo nella religione proprio in virtù di questa impossibilità di definirlo.
Mi sembra che Vannini (con tutte le sue innegabili doti di storico) viva e ragioni in un mondo pre-fenomenologia e pre-psicoanalisi, dove si può impunemente parlare di spirito e pensare che questa parola abbia (come amore) un senso definito.
(à suivre)
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