Siamo arrivati nella citta’ piu’ sacra dell’India ieri mattina, dopo una massacrante notte in treno, che faceva seguito a una giornata di automobile (10 ore filate) per fare i 250 km di strada tra Pithoraghar (media montagna himalayana) a Bareilly (pianura – ci passa il treno che porta da Delhi a Varanasi).
Dopo le giornate tranquille ad Almora, abbiamo cercato inutilmente un luogo diverso ma altrettanto fascinoso e rilassante. Pithoraghar sembrava il candidato giusto: all’incirca la stessa altitudine, ma un po’ piu’ vicino alle vette che da Almora non si riescono a vedere, causa nuvole (salvo qualche rarissimo momento, con qualche squarcio).
In realta’ Pithoraghar si trova in una conca, bella ma cieca. E la passeggiata che abbiamo fatto su una delle montagne attorno e’ stata molto bella, ma non ci ha mostrato le vette. In compenso ci siamo quasi persi. Dando fede alle asserzioni di due persone diverse e indipendenti tra loro, abbiamo preso uno stradello molto spettacolare che doveva portare a valle.
Dopo circa un’ora di cammino, abbiamo chiesto conferma a un vecchio pastore, dicendogli il nome del paese a cui pensavamo di arrivare, e lui si e’ sforzato in tutti i modi di farci capire che di li’ non ci si poteva arrivare. Molti dubbi; lui sembra molto convinto, ma capivamo bene quel che intendeva dirci? Avevamo due conferme contro una smentita.
Per fortuna e’ passata una jeep piena di sardine, e abbiamo chiesto al conducente, che ci ha confermato le parole del pastore. Ma don’t worry, five kilomters and I’m back. Fantastico! Almeno abbiamo il ritorno assicurato. E cosi’ e’ stato, in 17 sulla jeep, con anche due persone in piedi attaccate fuori.
Qui e’ ovviamente un altro mondo. Fa caldo, e il Gange e’ altissimo. I ghat, cioe’ le scalinate che scenderebbero al fiume, sono completamente sommersi. Qualche giovane ci dice che nella sua vita non ha mai visto il fiume cosi’ alto. Dall’acqua emergono le sommita’ dei lampioni che illuminano la passeggiata dei ghat. Bisogna andare per stradelli, ed emergere sul fiume ogni volta che si puo’. Qualche strada e’ del tutto sommersa, e ci arrivano le barche anziche’ le automobili. In un punto non possiamo che bagnarci i piedi sino alla caviglia per passare, in questo miscuglio di acqua del Gange (con tutte le sue virtu’) e acqua delle canalette cittadine (insomma, piccole fogne all’aperto).
Su quel che emerge dei ghat ci sono molte persone, specie vecchi, che si immergono. Molti anziani vengono ad abitare a Varanasi per morirci, perche’ morire qui facilita il superamento del samsara, ovvero del ciclo doloroso delle reincarnazioni.
Abbiamo visto anche le pire dove bruciano i morti, e una parte del rito funerario. C’e’ un ghat apposta. Ora e’ sommerso. Quindi tutto succede nel vicolo subito dietro. (solo uomini a operare ed assistere: le donne si commuovono troppo, e l’anima del defunto che gira li’ attorno sarebbe ostacolata al distacco definitivo, dal pianto di una persona cara).
Ci portano a vedere un negozio di sete. Facciamo acquisti. Troppo belle. Ci portano qui e ci portano la’. Qui il turista e’ come il maiale: non si butta via niente. Tutte le sue parti sono buone da sfruttare. Stamattina ci hanno portato all’alba (ore 5) a fare un giro in barca, per un prezzo che e’ solo il doppio di quello indicato dal Lonely Planet. Suggestivo, ma solo in parte, e per troppo poco tempo: non arriviamo nemmeno ai ghat principali.
E il Gange e’ altissimo. Oltre alle sommita’ dei fari di illuminazione, emergono le guglie dei tempietti sui ghat. E’ tutta un’altra cosa rispetto alla Varanasi delle foto turistiche, nelle quali, dal fiume, le case sopra sembrano quasi in collina. Qui il fiume stesso si trova all’altezza di quella collina. Mi immagino quello che sta sotto: siamo sospesi a mezz’aria, dieci metri sopra quello che si vede in quelle foto. La meraviglia e’ nascosta in quest’acqua bigia, che corre veloce portando via qualcosa ogni tanto (anche un cadavere abbiamo visto, ieri).
Ma, nel complesso, Benares non e’ affatto un inferno. Rispetto alle grandi citta’ rumorose dell’India sembra sporca non piu’ che altrettanto, e persino meno rumorosa. C’e’ una bella atmosfera. Si capisce che qui succedono anche cose interessanti. E’ la capitale della musica indiana, e c’e’ l’universita’ piu’ importante del paese.
L’esperienza davvero avvolgente la vivo in in tempio, durante un darshan, cioe’ una cerimonia, con il ritmo ossessionante delle campane al chiuso e fianco alle orecchie, e l’odore del fumo aromatico, e i gesti delle cerimonie, e il caldo, e le rondini che in tutto questo entrano ed escono dalla porta aperta verso il fiume.
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