Male di vivere, una telenovela
Il Sole 24 Ore, 21 ottobre 2001
Non so se sia corretto definire Daniel Clowes un autore minimalista. Certo le tematiche più o meno sono quelle, ma a differenza degli autori minimalisti, che assai spesso sono in grado di suscitare in me una noia mortale, le storie di Clowes, nonostante la dimensione sottilissima degli eventi che vi vengono narrati, hanno la portata ritmica ed emotiva di storie serrate di azione.
E’ una strana, singolare ricetta. I personaggi di Clowes sono spesso persone normali, semplicemente minate ciascuno dal proprio specifico male di vivere. Vivono una vita qualsiasi, fatta di eventi che sembrerebbe non valga la pena di raccontare – eppure, quando è Clowes a raccontarli, sono altrettante tragedie classiche, o shakespeariane.
Forse il bandolo della matassa, per capire come questo materiale umano così irrilevante possa acquisire nelle sue mani tanto rilievo, sta nell’osservare l’altro tipo di personaggi che ricorrono nell’universo di Clowes. E qui la memoria corre alle opere di una grande protagonista della rappresentazione del male di vivere americano: Diane Arbus. Tutti ricordiamo le sue foto di persone comuni, una galleria di orrori festivi, di inconsapevoli depravazioni da party, di tristezze in vacanza: tanto più terribili quanto più ostentanti questa inconfondibile marca di normalità.
Clowes è probabilmente meno maniacale e meno terribile della Arbus, ma solo perché un’ombra di ironia scende sempre a rendere più lieve la sua mano, e l’orrore si trasforma nelle sue storie in malinconia, la depravazione in semplice infelicità, spesso neppure compresa sino in fondo dal soggetto che la vive. A differenza della Arbus, poi, che trovava i propri soggetti e li eternava con la fotografia, Clowes adopera lo strumento assai più mediato del disegno; e all’icastica immobilità della narrazione fotografica sostituisce la fluidità articolata di un autentico raccontare, sviluppato nel tempo. Insomma: un autentico fumettista, e di grande, autentico talento.
Negli Stati Uniti, dove vive e lavora, Clowes pubblica una rivista aperiodica, Eightball. Eightball è realizzata interamente da lui, e contiene, a puntate, le storie da lui scritte e disegnate. Queste storie vengono spesso raccolte in volumi, e ne sono usciti parecchi in lingua originale. I lettori italiani ne possono trovare invece solo tre: L’antologia ufficiale di Lloyd Llewellyn, pubblicato da Telemaco nel 1992, Ghost World, pubblicato da Phoenix nel 1999, e David Boring, in uscita in questi giorni da Coconino Press. E’ di quest’ultimo volume che intendo parlare.
David Boring rappresenta indubbiamente un punto di arrivo, il prodotto della maturità di un vero narratore, che compie quest’anno i suoi quaranta. Il tipo di storia non è diverso dalle storie che Clowes ha sempre raccontato: solo viene in qualche misura accentuata qui una vena lievemente surreale che è spesso presente anche altrove, e aggiunge alle storie sfumature vagamente oniriche.
David Boring, il protagonista di questa storia, è un giovane tra i venti e i trent’anni. Un giovane con delle capacità, che riesce in quello che fa, e gode di un successo particolare con le donne. Ma appare ammalato di una singolare forma di atarassia, che non gli impedisce tutto sommato di agire, ma è come se un velo separasse le sue azione dalla possibilità di viverle davvero. Poi David si innamora, e lei pare ricambiarlo ma insieme gli si nega. E alla fine, dopo esserglisi finalmente concessa, scompare. Alla disperazione di David si aggiunge ora il colpo di scena: uno sconosciuto gli spara alla testa, ferendolo gravemente.
Durante la convalescenza, assistito dalla madre e da un piccolo gruppo di amici, ritirato su un isolotto senza contatto col mondo, David incomincia a esplorare i propri ricordi. E incomincia, in particolare, a cercare di ricostruire l’immagine di un padre che lui non ha mai conosciuto: la madre, infatti, arrivata per gelosia a detestarlo, ne ha cancellata ogni traccia. Ma David aveva trovato, qualche tempo prima, una storia a fumetti che aveva realizzato suo padre, disegnatore minore del genere supereroi. In questa storia (una tipica storia di genere con tutti i luoghi comuni dei supereroi anni sessanta) e nelle sue evoluzioni, che ci vengono presentate piano piano, David cerca l’immagine del padre. E’ come un puzzle da ricostruire, un puzzle che diventa ancora più complesso quando sua madre gli trova la rivista e la straccia in mille pezzi.
David guarirà e ritroverà le tracce dell’amata solo una volta che si sarà ricostruito una vita sentimentale con un’altra, e allora ancora una volta la pressione della memoria lo porterà nelle direzioni più strane. La storia continua a lungo, come una telenovela di grande qualità, in cui colpi di scena che altrove potrebbero apparire tipiche mosse di genere vengono raccontati con tale intensità da restituirci la loro vivezza primaria, la loro carica emotiva autentica – quella che il mestiere degli sceneggiatori televisivi non è più (non è mai?) stata capace di restituire ai loro – nonostante questo – innumerevoli spettatori.
I lettori di David Boring saranno probabilmente assai meno di quelli di Beautiful, ma in fondo non si tratta davvero di una storia per tutti. Non che Clowes sia complicato da leggere, ma forse questo mondo di sfumature emotive richiede un’attenzione di cui non tutti i lettori sono disposti a fare uso. Un’attenzione, comunque, assai ben ricompensata.
Daniel Clowes
David Boring
Coconino Press, Bologna, 2001
128 pp. £.28.000
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