In effetti, un po’ dopo che ho scritto il post di ieri, e’ incominciata ad andare meglio.
Mentre giravo con l’aria un po’ persa e foirse un po’ stravolta, mi viene incontro un signore indiano di mezza eta’, e, con spiccato accanto bolognese, mi chiede: “Tutto a posto?”. Io lo guardo incredulo, e balbetto “Come?”. “Tutto a posto? Va tutto bene?” “Sss…i'” “E di che parte dell’Italia e’?” “Di Bologna” “Ah, io sono spesso a Bologna. Mio cugino ci abita. Io vado alle fiere. Venga che le faccio vedere i nostri gioielli e le offro un caffe’ Lavazza.”
Lo seguo, attratto piu’ dallo stupore per l’indiano-bolognese che dall’interesse per i gioielli, avvisandolo che comunque non sono interessato a comperare. In ogni caso, il negozio e’ in una posizione strepitosa, proprio di fronte al Palazzo dei Venti – e non si puo’ perdere l’occasione di un caffe’ italiano fatto con una macchinetta italiana.
Vengo presentato al cugino, che mi dice che abita a Bologna da vent’anni, e in effetti non gli manca ne’ l’accento ne’ il modo di fare da bolognese un po’ fighetto. Mi racconta che abita in via Castiglione, e sta sei mesi all’anno a Bologna e sei mesi a Jaipur, per curare la produzione. Mi fa vedere delle cose bellissime, dicendomi che le vende a tizio e caio (tutti nomi grossi): per quel poco che capisco potrebbe essere vero.
Beviamo il caffe’ promesso sulla terrazza (intanto e’ diventato Illy), e poi ancora un te’, e poi ancora un altro te’. Poi arrivano altri due bolognesi (veri, di Argelato), raccattati dal cugino che occhieggia gli italiani per strada. Dopo un bel po’ me ne vado.
E li’, rinfrancato dal Lavazza-Illy, incomincio a vedere un sacco di cose interessanti. E’ che nel frattempo sono anche arrivato alla zona del palazzo del Maharaja, e li’ c’e’ il bello. Ma il bello c’e’ anche nei vicoletti che faccio al ritorno, che e’ quasi buio. I palazzi sono tutti fatiscenti, come ovvio, ma spesso bellissimi.
Stamattina sono tornato in zona. Il palazzo del Maharaja e’ bello, ma di solito a me le residenze reali mi annoiano, e questa non fa eccezione. Per fortuna li’ di fianco c’e’ l’Osservatorio Astronomico fatto costruire da un maharaja alla fine del Settecento, che e’ un luogo di costruzioni metafisiche. Sembra di stare in un quadro di De Chirico, con tutte queste architetture geometriche che sono in realta’ gigantesche meridiane e altri strumenti per calcolare con precisione la posizione degli astri.
E, poco piu’ in la’ c’e’ il Palazzo dei Venti (ora non mi ricordo il nome indiano), questo palazzo che non e’ un palazzo, ma solo un luogo per le mogli del Maharaja, da cui potessero vedere la citta’ senza essere viste. Di fatto e’ una alta facciata tutta traforata di finestre, con quattro piani aperti, e attorno a questi un vero labirinto di stanze, terrazze e corridoi.
Il vero labirinto -assai piu’ consistente – lo vedo pero’ due ore dopo, quando, dopo aver preso un bus, e mangiato qualcosa, arrivo all’Amber Fort, sulla montagna vicino a Jaipur. Un sogno da mille e una notte, un castello incredibile gia’ da fuori. Ma poi, quando entri, l’intrico di stanze, corridoi, scale, rampe, torri, verande, terrazze, cortili, tunnel, giardini, padiglioni… e’ davvero al di la’ di qualsiasi aspettativa.
Un sacco di volte mi sono perso in questo intrico assurdo, ritrovandomi poi dove non pensavo di essere. E poi credevo davvero di averlo visto tutto – ma una volta uscito mi sono accorto di almeno una lunga balconata in cui c’era gente e io non ero stato.
Il palazzo e’ vuoto. Solo muri. I maharaja lo abbandonarono nel Settecento per trasferirsi in quello nuovo, giu’ in citta’. Ma secondo me ci hanno perso nel cambio. Anche il panorama attorno e’ spettacolare.
Fa caldo, ma non piu’ che a Bologna d’estate, anzi forse un po’ meno. Ma l’umidita’ e’ altissima, e io sudo sette camicie, pur avendone indosso una sola. Si puo’ immaginare il risultato.
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