Già la spirale di per sé è una forma piuttosto affascinante. Qui la si vede bene nella conchiglia più in alto. La spirale è un vortice, che evoca una traslazione dal macrocosmo al microcosmo, o viceversa, a seconda di come la si percorre; e, comunque sia, ci si sente trascinati a percorrerla. È quindi una forma diabolicamente dinamica, e di conseguenza inevitabilmente simbolica.
Trovarne tante qui, immobili, nella luce calda e ferma del sole, incarnate nell’emblema stesso della lentezza, con questa materia così concreta e solida, con il legno del palo, e persino un ricciolo di cacca di chiocciola… insomma, c’è davvero un bel salto implicito, dall’astrazione inquietante al concreto quotidiano, e viceversa.
Non so se queste lumache qui siano buone anche da mangiare. Ma che cosa succede, a livello simbolico, quando si mangia il contenuto di una spirale?
Io le mangiavo. Nel mio dialetto si chiamano “ciambrachelle”; dopo le piogge estive, mio padre andava in campagna e ne riportava buste intere; poi le metteva a spurgare in un pentolone con la farina, quindi le bolliva (vive) e le condiva con olio e menta.
Con la cottura, il corpo dell’animaletto veniva parzialmente fuori dal guscio. Bisognava armarsi di stuzzicadenti, infilzarlo ed estrarlo completamente. La parte finale era un ricciolo nero di interiora arrotolate a spirale. Quello non si mangiava.
Non so se tutto ciò sia un simbolo. Però erano buone.
Pardon: per la precisione le stufava, non le bolliva.
Simbolicamente buonissime! Ho l’acquolina galattica in bocca. Astratto e concreto in una volta sola. Mmmhhh!!!