Serenata
Homenaje a Lope de Vega
.
Por las orillas del río
se está la noche mojando
y en los pechos de Lolita
se mueren de amor los ramos.
¡Se mueren de amor los ramos!
La noche canta desnuda
sobre los puentes de marzo.
Lolita lava su cuerpo
con agua salobre y nardos.
¡Se mueren de amor los ramos!
La noche de anís y plata
relumbra por los tejados.
Plata de arroyos y espejos.
Anís de tus muslos blancos.
¡Se mueren de amor los ramos!
.
da Federico García Lorca, Canciones (1921-24),
Ecco la traduzione di Carlo Bo (Guanda 1962):
Serenata
Omaggio a Lope de Vega
Lungo le rive del fiume
la notte si sta bagnando
e nei seni di Lolita
muoiono d’amore i rami.
Muoiono d’amore i rami.
La notte canta nuda
sopra i ponti di marzo.
Lolita si lava il corpo
con acqua salmastra e nardo.
Muoiono d’amore i rami.
La notte d’argento e anice
risplende sui tetti.
Argento di rivi e specchi,
anice delle tue cosce bianche.
Muoiono d’amore i rami.
.
Non è solo bella, questa Canción (Canzone) di García Lorca. È che pone un problema a cui non so dare una risposta certa. Alfredo Giuliani scrive, nel 1961, nella prefazione alla storicamente cruciale antologia I Novissimi: “La riduzione dell’io è la mia ultima possibilità storica di esprimermi soggettivamente”. Così facendo apre la stagione della poesia dopo la lirica, almeno in Italia.
Ma quando leggo le Canciones, o il Romancero gitano, o il Diván del Tamarit scritti da García Lorca negli anni Venti e Trenta, io l’io non ce lo so proprio vedere – almeno non più di quanto ce lo sappia vedere nelle poesie della Neo-avanguardia. Per esserci, ci sarà, non c’è dubbio, da qualche parte dietro; ma c’è persino, da qualche parte dietro, nelle poesie fatte a macchina di Balestrini. Quindi non è a questa presenza nascosta che si riferisce Giuliani, e gli araldi contemporeanei della riduzione dell’io.
D’altra parte, continuiamo a chiamare lirica la produzione di García Lorca delle raccolte che ho nominato? Non mi pare che García Lorca avesse in quel momento velleità avanguardiste (ha fatto poi anche quello, nello straordinario e surrealista Poeta en Nueva York, e anche sulla liricità di quello ci sarebbe da discutere), tant’è vero che la poesia riportata qui sopra si presenta persino come un omaggio a Félix Lope de Vega y Carpio, un grande della poesia ispanica a cavallo tra Cinquecento e Seicento. E quella di Lope de Vega era lirica?
Certo, potremmo sostenere che qui il poeta, pur non utilizzando mai la prima persona, sta esprimendo un sentimento personale. Ma questo potrebbe essere sostenuto per qualsiasi componimento contemporaneo – persino per Balestrini, se pur un po’ più contortamente. Oppure potremmo dire che il sentimento espresso in questi versi è un sentimento popolare, una voce di tutti, di cui semplicemente il poeta si fa portavoce: e allora l’io è ridotto, indubbiamente.
Insomma, in semplici termini di liricità o di riduzione dell’io, qual è la differenza tra questa poesia e quella che cavalca la bandiera del dopo la lirica? (Potremmo parlare – adornianamente – di perdita dell’innocenza, di espressioni dell’alienazione, dell’impossibilità o colpevolezza del parlare degli alberi dopo Auschwitz: ma tutto questo è trasversale alla questione della lirica. Queste differenze probabilmente ci sono, ma non riguardano affatto la questione dell’io e della sua espressività.)
P.S. Sulla questione della riduzione dell’io e della lirica ho già scritto, per esempio, qui e, in generale, nei post sotto il tag lirica.
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