Chimera, di Lorenzo Mattotti (Coconino 2011), vive da pochi giorni la sua terza vita; e per la terza volta mi ritrovo a parlarne, perché, di fatto, sono tre incarnazioni diverse, per ciascuna delle quali l’autore ha realizzato un seguito e una conclusione nuova.
La prima vita è stata nel 1994, all’interno di un bell’almanacco pubblicato da una piccola casa editrice di Spoleto, e il titolo era all’epoca “Il segreto del pensatore”; ne avevo scritto sul domenicale del Sole 24 Ore, e ho recentemente ripresentato quel pezzo in un post. La seconda vita è stata nel 2006, in un albo spillato per Coconino, e ne ho parlato nel post del 16 marzo del mio blog di allora. Ora è un bel libro cartonato con molte più pagine.
Ma come si fa ad aggiungere nuove pagine a una storia conclusa? Be’, basta che la storia non sia conclusa, né concludibile. In verità, anche di questa versione potremmo aspettarci, tra qualche anno, di ritrovarla come parte iniziale di una sequenza ancora più lunga, perché il gioco permette questa riapertura all’infinito.
È però un gioco difficile. Le poche parole presenti in tutto il testo si trovano solo all’inizio e alla fine. Un uomo si sdraia sotto l’albero del pensatore, alla ricerca del suo segreto, e si addormenta, e in sogno vede accadere delle cose.
Da questo momento in poi è come se entrassimo in un film di animazione, la cui sequenza non racconta complessivamente una storia, ma una serie di trasformazioni celesti, e poi terrene, sul filo dell’evocazione: tante microstorie collegate solo visivamente ed evocativamente l’una all’altra. Il gioco è difficile perché non c’è un racconto unitario a tenere insieme il tutto, ma solo un’atmosfera magica e sospesa, e il segno del pennino e del pennello di Mattotti.
Su ciascuna delle immagini di questo volume varrebbe la pena di fermarsi a lungo, e in questo senso potrebbero essere anche sentite come illustrazioni, un po’ come quelle, indimenticabili, dell’appena appena definita sequenza di Nell’acqua. Ma qui, anche se non c’è la storia, la sequenza è forte, coinvolgente, fluida; e il passaggio da una vignetta all’altra racconta indubitabilmente di trasformazioni e di passaggi e di eventi. Siamo perciò di fronte a qualcosa di diverso da una semplice sequenza di illustrazioni, poiché il rapporto tra loro non è meno forte di ciascuna delle singole immagini. Siamo di fronte a un fumetto, a una narrazione per figure, a una graphic novel, se proprio vi piace chiamarla così.
Ma il termine graphic novel non è adeguato, qui, se non dal punto di vista commerciale. Non c’è infatti nessuna novel, nessuno romanzo, in questa sequenza. L’andamento di questa sequenza è molto più quello di una sequenza musicale, o di una poesia astratta, basata sul succedersi di evocazioni. Potremmo chiamarla graphic music (e sarebbe certamente al femminile, senza possibilità di polemica), o graphic symphony, o sinfonia per immagini… Potrebbe essere un nuovo genere…
Non credo che la sinfonia per immagini potrà mai davvero essere un nuovo genere. È troppo difficile rendere visivamente interessante una sequenza così astratta. Ci riesce magnificamente Mattotti. Ci riusciva Renato Calligaro quando pubblicava Deserto nel 1982, in tiratura limitata per le Edizioni della Periferia. Ci prova ogni tanto qualcuno, con risultati alterni.
Il lettore di fumetti che cerca la storia, la vicenda, il racconto coinvolgente, sappia che il volume di Mattotti non fa per lui. Chi ama le belle immagini, troverà invece qui certamente moltissimo pane per i suoi denti, ma, se si limitasse alle immagini, farebbe come uno che si ascolta il Preludio del Tristano di Wagner ascoltando solo le singole note e i singoli accordi: sono bellissimi, indubbiamente; ma sono solo mattoni da costruzione per la musica, che è un’altra cosa.
Chimera va letto scorrendo da un’immagine all’altra, guardando le immagini non meno del flusso che le collega, intonandosi con questo sogno a occhi aperti che va dal chiaro della punta di pennino, con il suo andamento arioso e sensuale, sino allo scuro, al nero della pennellata spessa, con le sue ansie e i suoi orrori, con andate e ritorni, con modulazioni di dinamica e di ritmo, con motivi che ritornano e altri che entrano in gioco nuovi.
Se conoscete i lavori di Mattotti ci ritroverete un sacco di echi. In questo, anche il fatto che questo lavoro attraversi ben diciassette anni della sua vita non è un elemento indifferente. È come se tutte le variazioni del suo mondo espressivo si fossero distesa in questa suite, che non a caso chiamo così, perché la suite è stata spesso, in musica, il genere attraverso cui era possibile riassumere, per evocazioni successive e incalzanti, sistemi musicali molto più complessi: un melodramma, un balletto, una vita.
Qui sembra, tra gli echi, ritrovare anche quello dell’Urlo di Munch.
Che bel passaggio di immagini.
(L. F.)
vedendo le prime quattro tavole ho pensato a certe suggestive e poetiche atmosfere cinematografiche di Kim Ki Duc.
un saluto a te.
paola
Munch è senz’altro plausibile.
L’accostamento a Kim Ki Duc mi piace, ma è certamente una convergenza. Le prime quattro tavole appartengono al lavoro del 1994, e mi sembra che all’epoca Kim Ki Duc non fosse affatto noto in Europa…
no infatti. l’ accostamento non intendeva contamiinazioni ma piuttosto suggestioni personali essendo io un’ amante dell’ opera di KKD e non conoscendo fino a pochissimo fa quella di Mattotti che mi piace a caldo non poco. di fumetti ho davvero superficiale e profana conoscenza ma divagando ricordo che rimasi folgorata dalla lettura in una biblioteca qualche anno fa di un grosso libro: Little Nemo in Slumberland… mai vista una meraviglia tale. e poi mi piace Rat-man.
Continuo a pensare che in Chimera la narrazione ci sia. Sta tutto a intendersi sul significato da dare a questa parola. Se la si intende come coerenza esterna del racconto, come storia, come plot, si avranno delle difficoltà. Se la si intende come evoluzione del racconto “interna” alla trama, alla storia, mi sembra sia perfettamente lineare. Insomma, c’è un senso, una evoluzione e una direzione, quindi tutto quello che una narrazione deve avere. Ma scrivo questo appena dopo aver finito la cena per la vigilia del Natale, un po’ ebbro. Potrei aver detto una insana valanga di castronate. Chissà. Comunque questo di Mattotti è uno stupendo romanzo grafico che, fuori dallo schema canonico, fa narrazione, costruisce una storia.
Direi che sta davvero tutto a intendersi sul significato da dare a “narrazione”. Se si intende il racconto in senso strutturalista, come una forma ad arco che sviluppa e porta a compimento delle premesse, allora il racconto non c’è, o ce n’è una serie retta da una logica di assemblaggio, un po’ come nei poemi cavallereschi o nelle telenovelas. Se si dà alla parola un senso più lasso, allora è più facile dire che c’è.
In generale non è che trovi questa decisione indispensabile. Io ci sento una logica di progressione di tipo musicale.
Poi si potrebbe stare a discutere su quanta narrazione ci sia nella musica…
Prima però bisogna digerire il pranzo di Natale che segue il cenone della Vigilia. Adesso dieta!