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Scrive Marco Pellitteri qualche giorno fa su Lo Spazio Bianco, elencando 11 “cose” che fanno male al fumetto in Italia, che, tra queste, ci sarebbero anche “Gli editori che da anni e ancor oggi pubblicano i manga in edizione ribaltata”. Ci dice Marco: “È una questione molto interessante, che riguarda un segno di distinzione nel gusto, un avvicinamento culturale al modo di lettura dei giapponesi, una corrispondenza maggiore all’esperienza di lettura dei manga da parte dei lettori nipponici.”
Temo che le cose siano molto più complicate di così. Della questione del ribaltamento ho avuto modo di parlare già qualche anno fa, e non ho cambiato idea. Basta guardare la coppia di immagini che ho allegato qui (e di cui non dirò quale sia l’originale giapponese) per rendersi conto che raccontano storie differenti di attacco o di difesa da parte dell’uno o dell’altro dei contendenti. All’obiezione che basterebbe conoscere il verso di lettura per saper leggere correttamente l’immagine, risponderò che non è vero. Certo, leggendo i manga alla giapponese, impariamo facilmente a scorrere le vignette nel verso giusto, e anche a leggere prima i balloon a destra di quelli a sinistra (pur se poi, all’interno di quegli stessi balloon, la scrittura occidentale mi reimpone di muovermi da sinistra verso destra). Ma la ricostruzione intuitiva del movimento si basa, oltre che su una serie di convenzioni (che possono certo essere apprese e reinterpretate dal lettore) anche su conseguenze percettive molto profonde di alcune di quelle medesime convenzioni. Noi, per esempio, cresciamo all’interno di un contesto in cui la successione sinistra-destra non è soltanto quella della scrittura, ma, a partire dal verso della scrittura, è diventata la successione generale delle cose che avanzano; e siamo quindi intimamente abituati a considerarla tale. Non è più una convenzione (modificabile e riacquisibile) a governare questa percezione, ma una capacità cognitivo-operativa di livello profondo, non dissimile da quella che ci permette di reagire agli stimoli del mondo quando ci si presentano improvvisamente davanti, comportandoci istintivamente ancora prima di qualsiasi riflessione.
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Con queste premesse, sostenere che la lettura dei manga alla giapponese costituisce per un Occidentale “una corrispondenza maggiore all’esperienza di lettura dei manga da parte dei lettori nipponici” suggerisce che pure i nipponici debbano leggere con fatica i suggerimenti di movimento (magari contraddetti dalla direzione della scrittura) – il che chiaramente non è, salvo forse quando i Nipponici leggono fumetti occidentali non ribaltati (ma loro sono avvantaggiati dal fatto che la direzione sinistra-destra, pur minoritaria, non è estranea alla scrittura e cultura giapponese).
Comunque, precisa Marco, “La questione del ribaltamento dei manga non riguarda primariamente una faccenda di leggibilità e di direzionalità percettiva. Come ho scritto sopra, essa riguarda il gusto dei fan dei manga, la loro identità di lettori molto spesso nettamente distinta rispetto a quella dei seguaci di altri fumetti (occidentali), il desiderio, che trova oggi piena soddisfazione, di poter trovare nella lettura da destra a sinistra la sequenzialità e la direzionalità originariamente predisposte dagli autori nipponici.”
Questo a Marco lo posso concedere. In effetti, se quello che conta non è la qualità della lettura ma l’identità specifica di lettore, allora certamente quei manga (ribaltati) che non la rispettano fanno male al fumetto in generale. O meglio, fanno male all’editoria a fumetti, perlomeno nella misura in cui essa si regge sui lettori che costruiscono la propria identità sul ritrovare la direzione di lettura originaria del giapponese. Questo non basta tuttavia a definire gli altri “un fantomatico gruppo di lettori «casuali» (anziani? ignoranti? pigri? semi analfabeti?) presuntamente non abituati o non abituabili alla lettura non ribaltata”, e non solo perché mi sento chiamato direttamente in causa (e quindi potenzialmente ascritto a una delle categorie elencate), ma anche perché, come abbiamo visto sopra, ci sono caratteristiche della lettura ribaltata a cui è possibile abituarsi, e altre che sono troppo profonde per coglierle con la fluidità necessaria a una lettura goduta di un fumetto (come di qualsiasi altra cosa). In altre parole, in una situazione controintuitiva come quella del movimento nel manga non ribaltato, o leggiamo fluidamente oppure interpretiamo correttamente il movimento, ma non le due cose insieme; e siccome, di solito, siamo più interessati al piacere della lettura che alla filologia, questo va a scapito della corretta interpretazione del movimento. Certo, evidentemente capiamo grosso modo ugualmente quello che succede; gli elementi contestuali sono tali e tanti da portarci comunque nella giusta direzione; e tuttavia quello che perdiamo in precisione ed efficacia è assai di più di quello che perderemmo con samurai e tennisti mancini.
Marco potrà pure stupirsi che esistano dei lettori che non sono né anziani né ignoranti né pigri né semi analfabeti, e che pure preferiscono avere un’esperienza di lettura consona alle proprie consuetudini percettive proprio come ce l’hanno i Giapponesi. Ma se gli resta “incomprensibile” che esistano lettori di questo genere è evidentemente perché lui stesso appartiene a quei lettori che costruiscono la propria identità nel ritrovare “la sequenzialità e la direzionalità originariamente predisposte dagli autori nipponici”. Per un lettore di questo tipo, evidentemente, il mito del Giappone è più forte del riconoscimento delle differenze, e delle conseguenze che esse comportano. La cosa ha davvero le caratteristiche di un innamoramento. Quando siamo innamorati, tendiamo a vedere come meraviglioso tutto ciò che pertiene alla persona amata. Il che è certamente una cosa positiva, perché ci spinge a migliorarci e a imparare a fare delle cose nuove. L’innamoramento ci spinge però anche a non vedere quali sono i nostri limiti, e a trascurare il fatto che ci sono cose che possiamo imparare e altre che no. A volte ci salva la reciprocità dell’innamoramento, per cui, vivendo la medesima condizione, la persona amata tende a sua volta a non vedere i nostri limiti. Altre volte la passione termina, e ci troviamo a domandarci come abbiamo fatto a innamorarci di una persona così.
Nei confronti dei manga non possiamo troppo sperare nella reciprocità, non a livello individuale, almeno. Senz’altro, se li possiamo leggere (ribaltati o meno) è perché il Giappone ha vissuto un innamoramento per l’Occidente forse ancora maggiore del reciproco. Ma questo non riguarda nello specifico il lettore di manga, per il quale, evidentemente, potersi immergere un poco di più nel mito del Giappone, anche attraverso un’apparenza di rispetto della sua direzione di lettura, è più importante della correttezza dell’interpretazione. Questo lo capisco benissimo: si legge per piacere e per fascino. La correttezza dell’interpretazione è roba da critici. Come me, e Marco, peraltro.
Insomma, riconosco a Pellitteri che il manga ribaltato può far male all’editoria a fumetti, perché è probabilmente vero che la maggior parte dei lettori di manga vive nel mito del Giappone, ed è più interessato a riviverne il profumo che a leggere correttamente. Ma non è detto che ciò che fa bene all’editoria faccia bene al fumetto in generale. Non c’è dubbio che, se non si vende, il fumetto muore; e quindi, se i lettori sono così, continuiamo pure a stampare i manga alla giapponese. Ma questa abitudine a leggere con superficialità, trascurando i segnali più profondi, attaccati alla griffe nipponica come un dandy al suo Versace, fa davvero bene al fumetto nel suo complesso?
A suo tempo condivisi questa tua opinione e ancora oggi la condivido 🙂
Adagiarsi pigramente sulle mode (i lettori di manga – razza a sè stante, sarà vero? – vogliono i manga non ribaltati, i lettori di manga fanno il cosplay ecc.) non ha portato fino ad oggi poi questi grandi benefici al mondo del fumetto se a distanza di anni siamo ancora qui a compilare classifiche di cosa fa male al Fumetto…
Io li leggo in entrambi i modi (non rinuncio a un fumetto che mi può interessare per il senso di lettura) ma non sono innamorato dei manga bensì di alcune opere manga.
Forse la soluzione è promuovere quel passino in più e invitare a non essere più lettori di manga, ma lettori e basta.
DaZa aka Vecio
Caro Daniele,
ho letto, col consueto grande interesse, le tue riflessioni. A proposito, grazie delle concessioni! 🙂
Innanzitutto una breve risposta a Daza: concordo con te, Daza. Non bisogna ritenersi “lettori di manga” o di altri tipi di fumetti, sarebbe più produttivo e maturo ritenersi solo “lettori”. I lettori che leggono manga, tuttavia, spesso amano farlo da destra verso sinistra e, a meno che gli editori non abbiano una posizione prescrittiva su come un manga dovrebbe essere letto da un lettore occidentale, dovrebbero accontentare i lettori di manga il più possibile, almeno secondo me. Rimane il fatto, naturalmente, che non ho notizia di lettori che abbiano rifiutato di comprare un manga in edizione ribaltata solo perché era ribaltata, se non, forse, in alcuni casi particolari. Aver ripubblicato “Jenny la tennista” ancora in edizione ribaltata poco tempo fa (Panini) mi è parso poco sensato, visto che buona parte delle azioni si svolge sul campo da tennis. Sarà perché io sono un buon tennista (e inoltre, sono mancino come John McEnroe!), ma non l’ho apprezzato e ho preferito non comprare quest’edizione, sapendo che prima o poi uscirà in edizione non ribaltata o che posso acquistarne una qualche altra edizione straniera in una lingua a me nota, o ancora che posso leggerne una buona traduzione non ribaltata su un sito di scanlations. (Ma il discorso sulle scanlations e la loro liceità o meno lo rimandiamo a un’altra volta…).
Daniele. Assodato che per entrambi la questione del riconoscimento collettivo in una foltissima comunità di lettori in un gusto “giapponese” nel leggere i manga da destra a sinistra esiste ed è forte, e che tale questione già sarebbe di una certa rilevanza per farci insistere sulla stampa all’orientale invece che in versione ribaltata – se non altro per una questione di richiesta della fetta predominante del pubblico – emergono altre questioni parallele e convergenti.
1) I lettori che preferiscono la lettura all’occidentale o che sono indifferenti circa la scelta dell’editore se stampare in un verso o nell’altro: tocca, per l’appunto, capire con certezza quanto siano numerosi questi lettori e quanto intransigenti nel preferire la lettura all’occidentale, o, simmetricamente, pigri nell’accettare l’orientamento alla giapponese.
2) La questione della “purezza” – che a volte, capisco bene, può sconfinare nel “purismo” – dell’impaginato per come lo hanno percepito, immaginato e disegnato gli autori giapponesi non riguarda solo il desiderio dei lettori occidentali innamorati del manga e/o del Giappone (effetto spesso susseguente all’innamoramento per gli anime prima e per i manga poi, con la ricchezza di pratiche sociali e ludiche a essi associate) di vedere riprodotte le opere esattamente nel modo in cui le avevano concepite gli autori nipponici, per una questione di infatuazione supina al costume orientale: in tal caso si tratterebbe di una forma, per quanto lieve, di imperialismo culturale che finora non è stata comprovata dagli studi del settore; si può parlare semmai, e nemmeno con troppa convinzione, di un “soft power” (io l’ho tradotto come “potere soffice”, dal concetto originariamente proposto da Joseph E. Nye), di una influenza della cultura contemporanea popolare giapponese, comunque locale e localizzata, su determinati costumi e mode diffusi anche in Occidente, come quelle del cosplay o dei ninnoli kawaii. È certamente vero che questo potere soffice influisce anche sulle opinioni circa il Giappone, esattamente com’è avvenuto col potere soffice esercitato sull’Italia dalla cultura statunitense. Oggi ci riteniamo vicini agli Usa anche per merito della familiarità che abbiamo per la sua cultura popolare; qualcosa di simile, benché in versione ridotta e localizzata, dicasi per il Giappone, che in recenti indagini risulta uno dei paesi più “simpatici” in Europa e in Occidente in generale, con diretto riferimento al suo attuale statuto di paese “cool”, alla moda.
Il desiderio per un’impaginazione alla giapponese da parte di moltissimi lettori non riguarda solo – come avviene spesso per quelli più giovani – l’associarsi a una moda, a un costume generalmente accettati come “cool”, ma per i lettori appena più grandicelli della prima adolescenza, che cioè hanno già un vissuto personale in compagnia degli anime, dei manga, dei videogiochi, del cosplay alla giapponese, è riassunto meglio nel termine “autenticità”: i lettori desiderano un prodotto da gustare così per com’era alla fonte, nei limiti del possibile. È chiaro che i testi nelle nuvolette e nelle didascalie saranno tradotti in italiano, che i redazionali saranno in italiano, che il formato di pubblicazione è direttamente in volume (l’autenticità completa imporrebbe la pre-pubblicazione su riviste settimanali antologiche in formato elenco telefonico…); ma la stampa non ribaltata, oltre a comportare un lieve risparmio per l’editore (a fronte di un fattore di rischio notevole, per lo meno quando ancora non si sapeva che i lettori avrebbero accettato di buon grado questa innovazione nippofila), immerge i lettori in un ambiente percettivo, estetico e culturale nuovo, altro, gradito. Il che ci conduce alla questione seguente.
3) Il tuo discorso sulla direzionalità percettiva è molto chiaro, proprio perché ne avevi già parlato con dovizia di esempi nel tuo articolo di alcuni anni fa. Allora come adesso, tuttavia, credo che nel tuo discorso manchi un tassello importante. Quando affermi che in Occidente ci sono abitudini e strutture percettive troppo profonde per essere cambiate, parti dal presupposto che l’incapacità eventuale di abituarsi a un altro verso di lettura a livello profondo (o di assumere come dato di fatto un nuovo ordine di direzionalità nello spazio della lettura di un manga) sia diffusa a ogni singolo individuo socializzato e istruito in Occidente. Be’, non è così. Non voglio spingermi ad affermare che siamo di fronte a un cambiamento antropologico nella flessibilità percettiva degli individui (anche se c’è chi già lo fa per me), ma le nuove forme di fruizione dei media, i nuovi strumenti e la nuova multisensorialità e multidirezionalità degli strumenti in via di sempre più capillare diffusione, stanno contribuendo a rendere la percezione delle direzionalità più flessibile e plastica nelle nuove generazioni. La lettura alla giapponese interviene come “esercizio” solo per coloro che leggano stabilmente manga, ma in generale nelle nuove generazioni v’è maggiore adattabilità a una diversa direzionalità, anche, se vogliamo, a causa dei limiti di competenza alla lettura dei nuovi giovani. Sappiamo bene che la capacità di leggere un testo lungo, nei ragazzi di oggi, è in genere inferiore a quella che caratterizza la tua o anche la mia generazione (tu e io siamo praticamente uguali, sotto questo aspetto, anche se ci togliamo una quindicina d’anni; segno che il grosso del cambiamento è avvenuto negli ultimi vent’anni). Una maggiore varietà di approcci alle informazioni, un procedimento di acquisizione del reale in termini sempre più sintetici/globali e sempre meno analitici/lineari, hanno abbassato da un lato la capacità di “lettura locale” nel senso convenzionale del termine, e hanno innalzato dall’altro quella di “scansione generale”. Ho sperimentato più volte questo fenomeno, nel mio piccolo, durante i miei laboratori a scuola e durante le mie ricerche con adolescenti. Ad esempio, il modo di rispondere alle domande di un questionario a risposte multiple spesso è basato, presso gli studenti, su una “fotografia” generale della domanda e delle sue opzioni, a discapito della reale comprensione del meccanismo di risposta: in presenza di 10 caselle di risposta il rispondente sbarrava tutte le caselle che si confacevano alla sua opinione, saltando la lettura delle istruzioni sul funzionamento della domanda (es. la possibilità di sbarrare solo cinque opzioni, le più vicine alla propria opinione), non per fretta o pigrizia ma a causa di un modo totalmente nuovo di concepire/percepire la lettura di un testo scritto, del quale si pretende di carpire il significato a uno sguardo “trasversale”, senza averne ancora la piena capacità, visto che anche nella lettura trasversale occorre saper leggere il testo, rapidamente, ma esaustivamente, per non lasciarsene sfuggire i passi nodali.
Inoltre, se tieni presente che la maggior parte dei lettori di manga hanno cominciato a leggere manga anche, o soprattutto, grazie alla diffusione dei disegni animati giapponesi, qui arriviamo a un altro punto di cui ti avevo parlato in privato e che sottopongo poco sotto con discrezione ai tuoi lettori, in attesa di avere il tempo di svilupparlo meglio con degli esperimenti, in compagnia, possibilmente, di uno psicologo della percezione. Prima, però, vorrei ribadire un punto intermedio.
4) Esso è ancora relativo alla percezione delle immagini create dagli autori giapponesi nei loro manga, e mi riferisco in particolare alle due versioni della vignetta di combattimento tratta da “Kozure ôkami” da te riportate sopra. A meno che entrambi i contendenti siano mancini, l’immagine corretta è la prima dall’alto. Questo fatto non è compreso solo da lettori così attenti e presenti da accorgersi che in teoria la spada dev’essere impugnata con la mano destra, ma in generale è chiaro a ogni lettore che stia seguendo la storia nella sua normale sequenzialità. L’immagine che proponi, peraltro, non è perfettamente ribaltabile, perché sai bene che l’autore ha gestito i pesi percettivi, istintivamente, come disegnatore, in modo tale che l’immagine, se ribaltata, perde automaticamente quell’equilibrio ottico fra bianchi e neri, fra pieni e vuoti, rendendola un po’ “perturbante”, vuoi anche perché le rotazioni impresse alla direzionalità degli occhi nel seguire le linee cinetiche curve cambiano completamente di verso e andatura. È molto meno “perturbante”, cioè molto meno disorientante, se mai lo sia – e comunque ci si fa l’abitudine, come sappiamo – guardare le immagini da destra a sinistra, con la loro direzionalità originaria, e leggere i testi localmente (cioè all’interno di ogni singola unità contenitiva, nuvoletta o didascalia che sia) da sinistra a destra. In altri termini: la direzionalità globale destra-sinistra non solo non è inficiata, nemmeno subliminalmente, dalla direzionalità locale sinistra-destra, ma viene recepita e gestita percettivamente senza problemi e anzi, ipso facto, non crea i problemi di bilanciamento costruttivo dei disegni che invece vengono creati col ribaltamento.
5) Infine, come avevo anticipato, vengo alla questione della relazione percettiva fra i manga e gli anime. Sarò breve perché intendo sviluppare questa idea in un articolo e possibilmente mettere l’ipotesi alla prova con test sperimentali in compagnia di uno psicologo della percezione; ad ogni modo già in parte te ne ho parlato in quel messaggio e-mail collettivo inviato a te e ad altri stimati colleghi il 30 maggio scorso. Non è possibile che presso i lettori di manga con un trascorso di spettatori di anime fin dall’infanzia ci sia una maggiore predisposizione/accettazione alla percezione normalizzata della direzionalità da destra a sinistra? Infatti gli anime, essendo realizzati da giapponesi, conservano la medesima attitudine direzionale dei manga, da destra a sinistra: il calciatore che sferra il suo tiro verso la porta lancia la sfera da destra verso sinistra; la spadaccina che attacca il suo avversario sferza la lama da destra verso sinistra; il cannone che spara la sua palla lo fa da destra verso sinistra; il capitano delle guardie che si lancia al galoppo con i suoi uomini verso Parigi, procede da destra a sinistra; e, quando torna in caserma, la squadra a cavallo procede, per converso, da sinistra verso destra. Tutte le “andate” e le azioni “positive” procedono negli anime da destra a sinistra, e tutti i “ritorni” e le azioni “negative” procedono da sinistra a destra. Questi andamenti inversi rispetto alle direzionalità occidentali sono stati ripetuti un’infinità di volte nelle innumerevoli repliche degli anime sulle reti televisive italiane negli anni Ottanta-Novanta-Duemila e anche oggi vengono riproposti negli anime trasmessi in televisione e nei film d’animazione giapponesi proiettati nei cinema. Credo pertanto che questo sia un fattore da tenere in considerazione nel nostro discorso, e che parte della questione vada riformulata anche alla luce di questi elementi.
A presto, ci risentiamo sul tuo libro, che sto leggendo con sommo gaudio.
Marco
Caro Marco
proviamo a rispondere rapidamente ai vari punti.
1. OK
2. Sostanzialmente mi dai ragione. E tieni presente che non ritengo l’innamoramento per la cultura giapponese una cosa cattiva. Tutt’altro! È solo che, con tutti i suoi aspetti positivi, l’innamoramento ha anche l’aspetto negativo di far diventare ciechi ai problemi – come sappiamo bene tutti noi sposati.
3. Non so quanto questa nuova consuetudine di visione/lettura possa davvero affermarsi in tempi così brevi. E gli esempi che porti non mi paiono probanti. In particolare, quello sulla visione “fotografica” del testo, che è tecnicamente impossibile, perché per qualsiasi oggetto visivo importante (teso o immagine che sia), dopo un primo sguardo d’insieme siamo costretti a “scansionarlo” nei dettagli. La questione è semmai che percorso segua la nostra attenzione in questa scansione. Per questo sono d’accordo con te che la cosa andrebbe appurata sperimentalmente.
4. L’equilibrio ottico percepito da un autore che vive in una cultura in cui il flusso va da destra a sinistra è ovviamente diverso da quello di chi legge da sinistra a destra. Per il Giappone sappiamo che le cose sono ancora più complesse, perché la lettura ha anche una dominante verticale che da noi è sconosciuta, e occasionalmente procede pure all’Occidentale. Ma di sicuro il senso dell’equilibrio compositivo di Koike e Kojima è diverso dal mio. La mia sensazione è che il ribaltamento me lo renda più comprensibile, e nel complesso i guadagni compensino le perdite. Quanto al problema del flusso (non ribaltato) destra-sinistra associato al testo che va da sinistra a destra, io non lo sottovaluterei così. Non è che tra globale e locale ci sia uno iato: c’è piuttosto una serie continua di gradi – mentre non ribaltando l’immagine, lo iato viene imposto, e anche questo è piuttosto devastante.
5. Gli anime fanno parte (spesso sono alla base) dell’innamoramento, e quindi non discuto (come ho già detto nel post) le decisioni commerciali. Ma per quanto io passi la mia infanzia a guardare anime che procedono verso sinistra, io vivo in una cultura che procede verso destra (non politicamente, spero), cioè nella quale la direzione del flusso indisturbato è quella destrorsa, salvo che per gli anime. Ora, gli anime pongono un problema percettivo molto minore dei manga, perché il movimento è reale e non simbolico/evocato, e quindi credo che potremmo discutere a lungo (e a vuoto) se la loro facilità di comprensione si basi sul contesto, e se l’utente occidentale non perda comunque qualcosa (rispetto all’utente modello giapponese). Sta di fatto che probabilmente hai ragione sul fatto che chi si abitua a vedere questo negli anime lo pretenda anche nei manga. Ma questo non comporta che ne abbia davvero una buona (o migliore) comprensione. Se vuoi, alla fin fine, la scelta – almeno ai miei occhi – è tra privilegiare una lettura davvero coinvolgente, o privilegiare il fascino del Giappone; considerando anche che, per un giapponista appassionato, la lettura coinvolgente può essere anche un risultato del ritrovare nel testo il fascino del Giappone, con tutti i suoi elementi di incomprensibilità (che ci sono, e fanno sicuramente parte del suo fascino).
Continua (prima o poi – ne sono certo).
Ciao
db