Le tinte assolute di Miller fanno volare il goffo Marvin
Il Sole 24 Ore, 9 gennaio 1994
Per chi conosce il fumetto americano, il nome di Frank Miller è associato al genere supereroi, e davvero non si tratta del nome di un autore qualsiasi. La rinascita del genere, attraverso un nuovo modo di raccontare e un nuovo rapporto con il pubblico, oggi molto più adulto che non in passato, nonché il rinnovato interesse della critica per gli eroi superumani dei comics gli devono moltissimo. Basterebbe ricordare il suo Batman: The Dark Knight Returns, del 1985-86, un’opera dal successo senza precedenti nel settore, dove si raccontava, con il ritmo serratissimo di una composizione polifonica, la storia di un Batman invecchiato e alle prese con un mondo diverso da quello in cui era stato protagonista.
Non era la prima opera di Miller, e non è stata nemmeno l’ultima. Ma negli anni seguenti è stato soprattutto come sceneggiatore che Miller si è espresso, con numerose e spesso notevoli storie, nelle quali era però la capacità grafica di altri autori a mostrarsi al lettore, lasciandoci rimpiangere il suo montaggio e l’irruenza delle sue idee visive. Purtroppo, l’unica opera da lui interamente realizzata di questi anni è stata anche quella in cui l’abilità di disegnatore non si è accompagnata con quella di narratore. Difficile è stato infatti non sentire Elektra Lives Again come un polpettone di temi rifritti, nonostante questi temi fossero esposti al lettore con un virtuosismo non inferiore a quello delle sue opere migliori. Insomma, l’immagine che Miller dava di sé sino a poco tempo fa era un po’ quella del genio rovinato dal proprio successo, troppo impegnato in troppo numerose iniziative per riuscire a dar vita di nuovo a opere notevoli come quelle che lo avevano reso famoso.
Sin City è uscita a puntate negli Stati Uniti, tra il 1991 e il 1992, su una rivista di un editore minore. La cadenza mensile degli episodi ha reso più lento, più difficile, il rendersi conto della sua novità e del suo valore. Certo, sin dall’inizio era affascinante la scelta grafica di un bianco-nero a tinte assolute, giocato sui contrasti senza sfumature, con un frequente gioco di silhouette e di inversione coloristica tra figura e sfondo. Ed era notevole anche la scelta grafica delle immagini grandi, a mezza o piena pagina, con l’effetto di rallentamento ritmico della narrazione che essa comporta. Ma niente di tutto questo basterebbe a ravvivare un racconto banale, e il rischio di una storia a puntate (in Italia Sin City è stata pubblicata sulla rivista “Hyperion” e ora è disponibile in volume) che inizia lentamente, e sembra proseguire come tante altre, è che l’eccessiva attesa del seguito disamori un lettore che non ha ancora trovato validi motivi di interesse.
Invece, lentamente e progressivamente Sin City prende il volo, sempre più intrigante e coinvolgente nello sviluppo della vicenda, sempre più incisiva nel disegno e nel montaggio grafico. Si tratta di un thriller, questo è evidente, con richiami non troppo nascosti alla tradizione hard boiled, ma più parente forse di storie come Il silenzio degli innocenti che non del Falcone maltese o del Grande sonno. Marvin, un omone grande e grosso, con un passato militare ma anche trascorsi poco puliti, non particolarmente intelligente ma cocciuto come un toro, e dall’aspetto così poco piacevole da faticare persino per trovare amori a pagamento, vive la notte della sua vita con Goldie, ma quando si sveglia accanto a lei la trova strangolata, e le sirene della polizia in arrivo gli fanno capire che qualcuno sta cercando di incastrarlo. Sin City è la storia dell’indagine compiuta da questo improvvisato investigatore, consapevole della propria pochezza ma testardo e così innamorato del ricordo di lei da non fermarsi nemmeno davanti alla scoperta che Goldie non era stata con lui per amore ma soltanto per trovare protezione. L’indagine porterà progressivamente alla luce una storia sordida di misticismo e di cannibalismo, in cui i personaggi più innocenti finiscono per essere delinquenti e prostitute, schiacciati in una macchina del potere che è deragliata verso il delirio. Marvin è l’anti-Schwarzenegger, l’anti-Stallone: gigantesco e fortissimo e diabolicamente abile negli scontri quanto loro, ma orribile, goffo e sanguinario, stupido e cocciuto. È un Calibano riscattato solamente dal fatto di agire per amore, e dalla nequizia dei suoi antagonisti. Riscuote la simpatia del lettore solo perchè posseduto da una passione comprensibile e giusta, mentre la giustizia che gli si contrappone non capisce, e rispetta solo il potere dei potenti.
C’è una visione manichea molto americana, dietro a questa storia, ma il bene e il male vi sono così mescolati che si fatica a distinguerli. Eppure è sulla base di questa tensione etica che si regge la tensione narrativa – fortissima – di questa storia. Una volta entrati nel suo meccanismo ci si rende anche conto che sull’estremismo dei due poli è giocato anche lo stile grafico, basato sull’irrisolvibilità del contrasto tra bianco e nero. Ed è comunque il nero, l’oscurità , l’ombra, che vince. Sembra che con Sin City Frank Miller sia finalmente ritornato ai suoi livelli migliori, riunendo la sua capacità di inventare storie originali e coinvolgenti con quella di montarle e rappresentarle sulle pagine.
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