Tra i sopravvissuti di una fantapocalissi
Il Sole 24 Ore, 28 febbraio 1993
Quanti anni sono che la fantascienza si è trasformata, dalla space opera, o dalle “meraviglie del progresso” con cui era iniziata, in un cupo oracolo di inferni urbani e apocalissi? Nel mondo del fumetto, specchio fedele, e talora anticipatore, delle trasformazioni della science fiction letteraria, fanno sorridere oggi il futuro postmoderno di Buck Rogers e quello tecnologico di Dan Dare. Persino Jeff Hawke, fumetto d’ altra levatura rispetto ai precedenti, conduce gran parte della propria esistenza seriale in un futuro tecnologico e tranquillo, attraversato sì da singolari e talvolta drammatici eventi, ma nel complesso flemmatico e delicato come ogni anglosassone che si rispetti.
Eppure le medesime storie di Jeff Hawke subiscono intorno alla metà degli anni Settanta una trasformazione, e il loro protagonista si trova sbalzato stabilmente qualche decennio più avanti, in piena era post-catastrofica. La luna si è spaccata ed enormi frammenti di essa sono precipitati sul nostro pianeta: l’ umanità lotta per sopravvivere e riorganizzarsi. Il demone del futuro negativo ha contaminato persino questa serie “illuminista”.
Tra i profeti dei futuri negativi che a un certo punto hanno incominciato a moltiplicarsi tra gli autori di science fiction, Philip K. Dick è probabilmente quello che più ha lasciato il segno sulla generazione successiva. Non è solamente l’ impatto duro e crudo dei suoi mondi narrativi, ma anche il suo continuo e sempre presente oscillare tra allucinazione e realtà ; da L’occhio nel cielo a Scrutare nel buio il divario tra il mondo esteriore e quello interno si fa sempre più sottile, fino a scomparire del tutto. Il cyberpunk parte da qui, recuperando come possibilità tecnologiche quello che per Dick era semplice deragliamento dei sensi, autoillusione da Lsd. Il cyberspazio teorizzato da William Gibson è dunque il mondo dove i sogni si incontrano, dove l’ immaterialità del pensiero non coincide più con la solitudine del sognatore: una realtà immateriale, ma non meno rischiosa di quella più consueta fatta di carne. Nel mondo del fumetto americano il ribaltamento in negativo è arrivato con gli anni Ottanta e con la crisi dei supereroi. Con autori quali Frank Miller, Alan Moore e anche, meno noto, Rick Veitch, il fumetto di supereroi, un genere assai particolare di fantascienza, ha sostituito il pessimismo e il timore dell’ apocalisse al buonumore da favoletta che da sempre lo aveva caratterizzato. È da molto prima di questa recente e annunciata morte di Superman che uno spirito sinistro aleggia negli universi del comic book.
Più vicino a noi, e alla nostra sensibilità , il futuro negativo impera nel fumetto francese degli anni Settanta, da Metal Hurlant in qua, e in tutti i suoi epigoni. A differenza che nella fantascienza americana, qui la negatività è accompagnata sovente dall’ ironia, e le apocalissi aspettate si rivelano talvolta tempeste in un bicchier d’ acqua, salvo poi rivelarsi nuovamente come apocalissi, una volta che anche il secondo velo è stato sollevato. Da Moebius a Druillet, a Tardi, a Bilal, le costanti del futuro imperfetto arrivano in seguito fino in Italia, nelle pagine provocatorie di Cannibale e di Frigidaire, dove l’ ironia diventa sarcasmo e l’ evidente negatività della fantascienza critica sociale e politica.
Gli autori di Cyborg partono oggi da tutte e quattro queste esperienze. Cyborg è una rivista di fumetti che ha ripreso da poco le pubblicazioni. Dopo una prima serie nel 1991, chiusa per dissidi con l’ editore, è rinata da qualche mese in proprio. Fatto più unico che raro, per il tipo di pubblicazioni cui questa rivista fa riferimento, gli autori che vi partecipano sono tutti italiani. Non solo: a differenza di tutte le altre riviste a fumetti, che appaiono come contenitori di materiali diversi, più o meno riconducibili a una linea editoriale decifrabile, Cyborg è progettata da un team di autori che realizzano testi pieni di reciproci rimandi. La superficie e l’ occasione sono cyberpunk, con un certo odore di fumetto americano, ma le radici e lo spirito ora ironico ora disperatamente malinconico sono del tutto europei. La dirige Daniele Brolli, già gruppo Valvoline, già collaboratore di Linus e di Frigidaire, fumettista, scrittore, saggista, ora anche editore. La fanno con lui un gruppo di autori più giovani, molti dei quali sono usciti, anni fa, da quella scuola del fumetto, il Centro di Applicazione Zio Feininger, che era stata l’ espressione didattica del cosiddetto Nuovo Fumetto Italiano degli anni Settanta e dei primi Ottanta. Tra questi Francesca Ghermandi, Onofrio Catacchio, Giuseppe Palumbo, Massimo Semerano, Otto Gabos e poi Davide Toffolo, Marco Nizzoli, Davide Fabbri e alcuni altri.
Cyborg è un fenomeno singolare. Si rivolge a un pubblico sostanzialmente giovanile attraendolo con storie dure e violente, di quando in quando fin eccessive nella crudezza dei particolari. Eppure, le storie sono tutt’ altro che semplici da seguire, le immagini tutt’ altro che di immediata decifrazione. In questo, la lezione cyberpunk di Gibson viene seguita sino in fondo. Ma il pericolo che corre lo stesso scrittore di Neuromancer, quello di invischiarsi nella propria stessa retorica, attraversa un po’ tutta la poetica della rivista. Se ne salvano proprio quegli autori che sono più lontani dalle tematiche della realtà virtuale, vuoi perché giocano più sui toni ironici che su quelli epici, vuoi perché gli argomenti delle storie sono diversi da quelli tipici del cyberpunk.
Al contrario che nella prima serie, sono questi gli autori che sembrano venire privilegiati nella seconda. Cyborg si allontana dal cyberpunk? Nonostante titolo e rubriche, sembrerebbe di sì. Anche le realtà virtuali incominciano a invecchiare.
Leave a Reply