Ho promesso, qualche mese fa, che avrei cercato di trovare se non la chiave, perlomeno una chiave per capire che cosa mi renda così inquieto leggendo i libri di Maunele Fior. Ora che Cinquemila chilometri al secondo ha vinto ad Angoulême, mi sembra di non potere più posticipare questa ricerca.
Mi sono messo così a pensare. Mi sono riletto il volume. Mi è ripiaciuto moltissimo, forse ancora più che alla prima lettura. Ma la chiave è rimasta nascosta.
Certo, posso dire che è una bella storia, raccontata molto bene e anche molto ben disegnata. Posso dire che i colori di Fior sono ammalianti, ed è molto bello anche l’uso che viene fatto delle varianti tonali per gruppi di pagine, quasi a esprimere degli stati d’animo dominanti. Posso dire che quel modo di trattare l’esotismo è profondo, e che la sensazione di Svezia e la sensazione di Egitto sono tutte e due intense, proprio nella loro diversità; è quasi come se ci stessimo vivendo anche noi. Non c’è niente di cartolinesco, niente di oleografico. Fior è davvero bravo anche in questo.
Insomma, che Fior è bravo si vede, si capisce continuamente: dai disegni, dai dialoghi, dal modo di condurre la storia complessiva… Ma perché mi inquieta? Come fa a prendermi così visceralmente?
Mentre brancolavo alla cieca alla ricerca dell’invisibile chiave, ho avuto un piccolo flash, e mi sono venute alla mente queste parole, lette tanto tempo fa: “C’è nella vita un tempo in cui essa rallenta vistosamente, come se esitasse a proseguire o volesse mutare direzione.” È l’inizio di “Grigia” il primo dei tre racconti che compongono Tre donne, di Robert Musil.
Tre donne è un libro che ho amato molto, negli anni dell’università. Proprio per questo lo regalai come dono di commiato a una donna (il regalo era mio, ma il commiato era stato suo), e smisi di averlo in casa. Qualche anno dopo lo ricomperai in tedesco, nell’illusione che la mia conoscenza della lingua di Musil (che già mi permetteva di leggere con fatica le favole dei fratelli Grimm) fosse sufficiente ad affrontarlo. Ma dopo avere speso due giorni per leggere le prime tre pagine, capii che al mio tedesco mancava ancora parecchia strada (una strada che in verità non ho mai più percorso). Ma quell’esercizio mi aveva lasciato stampato nella memoria quell’inizio folgorante: “Es gibt im Leben eine Zeit, wo es sich auffallend verlangsamt, als zögerte es weiterzugehn oder wollte seine Richtung ändern. Es mag sein, daß einem in dieser Zeit leichter ein Unglück zustößt.”
Che cosa ha a che fare Musil con Cinquemila chilometri al secondo? Non lo so, in verità. Non so nemmeno se Fior abbia letto Musil, anche se sospetto di sì. So però che il romanzo di Fior è focalizzato su alcuni momenti della vita dei suoi protagonisti, e per ciascuno di quei momenti potrebbero valere le parole di Musil. Sono quei momenti di debolezza in cui le costruzioni mentali che tutti noi ci facciamo per portare avanti alla meno peggio la nostra vita si indeboliscono e diventano trasparenti, lasciando vedere quello che c’è dietro. Sono quei momenti in cui la sfortuna potrebbe accanirsi contro di noi, come accade nel racconto di Musil ma non in quello di Fior. Ma sono comunque quei momenti in cui le persone si rivelano non solo nella loro superficie, ma quasi come se la loro pelle fosse diventata trasparente.
Non è un modo occasionale di procedere per Fior: La signorina Else e Rosso Oltremare sono costruiti al medesimo modo. Fior evidentemente sa disegnare e sa scrivere molto bene, ma il fascino delle sue storie deriva dal suo saper guardare le persone e le cose, in superficie come in profondità. E magari – chissà – dall’aver letto appassionatamente Musil, oltre a Schnitzler.
Fior sta diventando anche una mia ossessione.
Mi hai incuriosito al punto che ho dovuto acquistare subito almeno Cinquemila Chilometri al Secondo.
In questa intervista, romagnoleggiando un po’ timido, Fior riesce bene a dare qualche chiave, credo, http://t.co/c2Pzu6k . Per quanto la tua chiave a forma di Musil, riletta dopo il libro, si sia dimostrate straordinaria.
La libertà che si ha di girare per il mondo (grazie al relativo abbattimento dei costi rispetto a un tempo), la precarietà delle vite, oltre che del lavoro, l’essere “abbagliati dalla libertà che si ha di vagare, ritrovarsi, riprendersi, lasciarsi”, “l’illusione di una libertà totale”, la frammentazione dell’identità, che è collettiva oltre che individuale. C’è tutto questo, e oltre.
A pagina 133 c’è una bellissima summa sulle emozioni del wanderer del 2000.
Ma l’inquietudine, che ritrovo anch’io leggendo Fior, e in cui mi rispecchio a pieno, è forse proprio in quest’energia che racconta, potenziale, enorme, giovane, che non promette altro che energia. E che potrebbe diventare qualsiasi cosa, secondo la direzione che le si imprime. Ma potrebbe anche morire nella piattezza grigia di una vita intera, o rimanere un ricordo di energia (si chiama malinconia?).
Piccola annotazione: è la Norvegia, non la Svezia, uno dei paesi del racconto. Mannaggia, anch’io li scambio sempre…
[…] di spiegare qualche ragione del mio apprezzamento (Di Manuele Fior che mi inquieta, e perché, http://guardareleggere.wordpress.com/2011/02/07/di-manuele-fior-che-mi-inquieta-e-perche/) ha avuto molto meno […]