C’è qualcosa di ironico nel fatto che il premio Andersen di quest’anno sia andato a una fiaba di Jacob e Wilhelm Grimm illustrata da Lorenzo Mattotti. Da un lato, è evidente una certa coerenza nel fatto che un premio intitolato a un autore di fiabe sia andata all’edizione di una fiaba scritta da altri autori di fiabe. Dall’altro, bene ha fatto la giuria del premio a giustificare la propria scelta iniziando con le parole: “Per essere un libro illustrato veramente ‘per tutti’”.
Il premio Andersen è infatti il principale premio italiano per il libro per ragazzi, ma né Andersen né i Grimm né tantomeno Mattotti sono mai stati davvero degli autori per ragazzi. Mi colpisce questo fatto, proprio mentre, riguardandomi il volume illustrato da Mattotti, penso che il premio l’ha davvero meritato – e che va benissimo che il premio sia intitolato ad Andersen, mentre insieme faccio fatica a vederci un prodotto per l’infanzia. “Per tutti” va bene; ma il problema è che andrebbe altrettanto bene per il medesimo Andersen e per i fratelli Grimm, che operavano raccogliendo fiabe e favole avendo in mente un recupero della letteratura popolare come espressione di un’epica, di un mito – con forti caratteristiche nazionali.
Possiamo giustamente lasciar perdere l’aspetto nazionale, e le sue conseguenze nazionalistiche, poiché le fiabe hanno valore indipendentemente da quello. Ma l’epica e il mito sono basilari, e mi conducono a loro volta a un’altra domanda: come mai un’altra epica e un altro mito, quelli greci antichi, non sono mai stati toccati dalla riduzione all’infanzia che ha toccato le fiabe? E non vale rispondere: ma come! si vede che le fiabe sono per ragazzi e i miti greci no! Ma si vede perché questo è ciò che ci hanno insegnato, e siamo cresciuto pensando che questa sia la norma.
Non vale nemmeno la risposta: perché i miti greci hanno Omero, e le fiabe no. Solo alcuni miti greci, di fatto, hanno Omero. Per tanti altri non c’è stato nemmeno un Andersen.
Piuttosto, riflettiamo sul modo in cui i miti greci e le fiabe sono arrivati all’universo della cultura “alta”: da un lato c’è un recupero che è stato cólto fin da sempre, e da sempre legato al fascino degli antichi; dall’altro c’è la scoperta, in secoli recenti, dell’esistenza di una cultura popolare, e il tentativo della sua riabilitazione. Ma questo tentativo, evidentemente, si è scontrato con qualcosa, con un qualche pregiudizio troppo forte da sradicare, e così la letteratura popolare non è stata considerata epos, o mito, ma è stata assimilata alla letteratura per bambini, utilizzando un’equazione implicita del tipo popolare=immaturo.
Al fumetto, guarda caso, nel suo arrivare in Europa, è successa la stessa cosa. Solo in America poteva nascere davvero una forma di letteratura popolare che non venisse immediatamente assimilata alla letteratura per l’infanzia! E questo poteva succedere proprio perché la tradizione cólta americana era ovviamente più debole, meno paludata, più disposta a differenziarsi da quella della madre Europa.
Un secolo è passato da allora, e molte cose sono cambiate. Ma al fondo il pregiudizio rimane, e Mattotti resta, per la cultura “alta”, un autore per l’infanzia, o comunque destinato a un consumo in qualche modo “immaturo”. Il problema non riguarda dunque esclusivamente il fumetto: i pregiudizi nei confronti del fumetto non sono che una delle applicazioni nei confronti di tutto quello che ha radici popolari più prossime – indipendentemente da quanto maturo, raffinato, colto, complesso sia oggi.
A saper guardare le figure di Mattotti sul racconto di Grimm, ci si accorge facilmente di quanto più “alta” sia in realtà questa cultura di quella di tanta letteratura verbale osannata dai giornali e dai media, e che riempie i dibattiti culturali dei nostri giorni.
Ci sono delle eccezioni, ed è interessante valutarle: non è successa la medesima cosa per la musica, per esempio. Perché?
A proposito di miti greci e di fiabe esiste un delizioso libretto (che conoscerai) di Jean-Pierre Vernant, uno dei massimi studiosi del mito e della cultura greca. L’ha tradotto nel 2006 Einaudi con il titolo «C’era una volta Ulisse» ed è il racconto, quasi fosse una fiaba, che l’autore fa a un suo nipotino di alcuni miti, da Ulisse a Perseo, da Circe a Medusa. Riflessioni colte, fatte ad “altezza” di bambino (che non significa, necessariamente, “abbassarsi”, anzi…). Della mitologia i comics supereroici Usa hanno fatto largo e, talvolta, buon uso (meglio di certe versioni nostrane dei miti greci a fumetti): da Wonder Woman (soprattutto nella versione di George Pérez) a tutti gli universi e le cosmogonie, più o meno Olimpiche, di questi semidei a fumetti.
Rep
Tutto vero. Ma che di un prodotto colto si diano versioni adatte all’infanzia fa parte di una normale (e condivisibile) versione didattica, e che se ne faccia uso all’interno di produzioni popolari è un normale e frequente tentativo di accreditarsi (a basso costo).
Quello che mi interessa qui è però l’aspetto opposto, ovvero quello che riguarda le fiabe, le quali, benché fossero per adulti, sono state invece pressoché sempre trattate come prodotti per bambini. E al fumetto è toccata analoga sorte.