Questa foto è stata presa grosso modo da qui, cioè dalla stessa posizione di quella della scorsa settimana. È solo una delle molto foto che ho scattato a questo oggetto mostruoso, affascinante e inquietante, che aggiunge alle parole di Borges anche la pretesa di incasellarlo, il mondo, oltre a farlo suo, quanto a forma e colore.
Le parole di Borges, eccole qui: “Desde el fondo remoto del corredor, el espejo nos acechaba. Descubrimos (en la alta noche ese descubrimiento es inevitable) que los espejos tienen algo monstruoso. Entonces Bioy Casares recordó que uno de los heresiarcas de Uqbar había declarado que los espejos y la cópula son abominables, porque multiplican el número de los hombres.” (dal racconto “Tlön, Uqbar, Orbis Tertius”)
Tradotto dallo spagnolo barocco di Jorge Luis, suonerebbe più o meno così: “Dal fondo remoto del corridoio, lo specchio ci osservava. Scoprimmo (a notte alta questa scoperta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso. A quel punto Bioy Casares ricordò che uno degli eresiarchi di Uqbar aveva dichiarato che gli specchi e la copula sono abominevoli, perché moltiplicano il numero degli uomini.”
E, poco più sotto, quando Borges e Bioy Casares vanno a verificare: “Él (Bioy Casares) había recordado: Copulation and mirrors are abominable. El texto de la Enciclopedia decía: Para uno de esos gnósticos, el visible universo era una ilusión o (más precisamente) un sofisma. Los espejos y la paternidad son abominables (mirrors and fatherhood are hateful) porque lo multiplican y lo divulgan.”
Insomma: “Lui aveva ricordato: Copulation and mirrors are abominable. Il testo dell’Enciclopedia diceva: Per uno di questi gnostici, l’universo visibile era un’illusione o (più precisamente) un sofisma. Gli specchi e la paternità sono abominevoli (mirrors and fatherhood are hateful) perché lo moltiplicano e lo divulgano“.
Ecco qui dunque la ragione della mia fascinazione per quello che vedevo davanti a me: gli specchi sono come il sesso. Essi moltiplicano le illusioni e perpetuano il sofisma che le sostiene. In fin dei conti, dunque, stavo scattando delle foto erotiche, forse addirittura pornografiche. Nei termini del puritano Borges, questo sarebbe anche, probabilmente, il massimo dell’erotismo possibile.
P.S. Aggiungo, a posteriori, un’osservazione, perché solo ora ho capito che cosa sia quella macchia arancione verso il centro dell’immagine. Eravamo al tramonto quando ho scattato la foto. Il sole si è riflesso sul parabrezza di un’auto di passaggio proprio mentre scattavo, e lo specchio un po’ deforme ha fatto il resto. Quella forma informe è quindi il riflesso di un riflesso, l’illusione dell’illusione di un’illusione, nei termini degli gnostici di Uqbar. Ci possiamo domandare che tipo di relazione (certamente abominevole) intratterrebbe con il sesso, nei termini di Borges.
Approvo e apprezzo la definizione di unico ‘erotismo’ borgesiano possibile! Mi piace molto questa idea che Borges rifugga dalla concezione e pronuncia della parola copula -abominevole!- per approdare alla parola specchio, sicuramente più tranquillizante per lui! Tradurre il carnale in legge fisica! Solo Borges…
caro Daniele, solo un’osservazione a quella da lei fatta a posteriori, riguardo il riflesso sul parabrezza. Ho bubbio trattasi di un “sole/o” al tramonto. La stessa incidenza delle altre superfici abbominevoli delle altre autovetture cariche di abominevoli uomini avrebbero dato traccia di codesto riflesso generando oltretutto prolungate ombre…
Forse la targa luminosa di un’autobus indicante la destinazione?
cordiali saluti
Caro Maurizio
potrebbe aver ragione lei e torto io. In effetti, subito a sinistra della grossa macchia gialla, nella colonna di vetro verticale (che è un po’ meno distorcente) si intravede una striscia del medesimo giallo sopra qualcosa che potrebbe essere un bus o un camion. Troppo luminosa per essere un’indicazione di destinazione, mi pare; però la posizione è quella.
Il sole ci stava perché stava in effetti tramontando alle spalle del palazzone, e mi piaceva troppo l’idea di avere casualmente colto quell’attimo di passaggio, col riflesso del riflesso.
Ma mi adeguo all’interpretazione più prosaica. Restiamo su un abominio semplice, anziché su uno al quadrato.